Vaclav Fomič Nižinskij (Kiev 1889 – Londra 1950) nasce dai due ballerini polacchi Thomas Laurentiyevich Nižinskij e Eleonora Bereda. Dopo l’infanzia trascorsa nel Caucaso coi due fratelli, Stanislav – che aveva riportato dei danni celebrali dopo un incidente – e Bronislava – futura ballerina e coreografa, che nell’infanzia condivide con Vaclav le lezioni di danza impartite dai genitori – a nove anni entra nella prestigiosa Scuola Imperiale di San Pietroburgo, dove manifesta fin da subito delle doti straordinarie. Nel 1907 consegue il diploma e subito ottiene un grande successo nelle prime apparizioni sulla scena del Teatro Mariinskij. Appena entra a far parte del Balletto Imperiale riceve le attenzioni di Sergej Djagilev che, dopo la sua lunga avventura nell’arte visiva e nel teatro, aveva deciso di formare una compagnia che unisse la tecnica dei diplomati della Scuola Imperiale con le atmosfere esotiche che avrebbero promosso la cultura russa in Europa. Nižinskij ne divenne il protetto e l’amante, oltre che il protagonista assoluto della compagnia dei Balletti Russi. Il debutto parigino del 1909 segna uno dei maggiori successi della storia per una compagnia di balletto e consacra i suoi interpreti come celebrità, grandi artisti, oggetti di desiderio e modelli di costume. Quella per i Balletti Russi diventa una mania, e Nižinskij ne costituisce una delle principali attrazioni sia per le sue capacità interpretative sia per le sue qualità tecniche che uniscono la grande forza ed elevazione alla grazia dei movimenti. Sensuale, espressivo, reso più affascinante dall’ambiguità sessuale, Nižinskij sbalordisce il pubblico europeo restituendo una grande importanza ai ruoli maschili dei balletti. Tra i maggiori successi Le Talisman (dove interpreta Zéphir nella coreografia di Mrius Petipa, 1909), Giselle (con Anna Pavlova, coreografia di Coralli e Perrot, 1910), e poi le tante coreografie che Michel Fokine crea per lui e gli altri membri del gruppo: nel 1909 Le Pavillon d’Armide e Cléopâtre in cui interpreta dei ruoli da schiavo e Le Festin in cui fa il poeta; nel 1910 Carnaval dove Léon Backst lo veste da Arlecchino, e poi quelle più esotiche come Schéhérazade dove spopola prima come nègre favori e poi come capo degli eunuchi, Les Orientals (rielaborate da una coreografia di Petipa), e ancora Les Danses polovtsiennes du Prince Igor, e, nel 1911, i celeberrimi Le spectre de la rose, dove è lo spirito della rosa che appare in sogno a Tamara Karsavina, Narcisse, nelle vesti del personaggio mitologico, e Petruška, il burattino russo musicato da Igor Stravinskij e con le scene e i costumi di Alexandre Benois. Sono solo i titoli più celebri che nell’arco di tre anni consacrano la compagnia come una delle maggiori attrazioni sui palcoscenici europei al confine tra arte e spettacolo, e impongono Nižinskij come “le dieu de la danse”, soggetto di numerose opere di pittura, scultura, poesia, fotografia. Del 1911 è la sua ultima apparizione su un palcoscenico russo dove ciclicamente tornava ad esibirsi alternando il suo impegno alle stagioni europee dei Balletti Russi, fin dall’inizio ideate da Djagilev nei mesi di riposo dei Balletti Imperiali. Nižinskij, come altri ballerini del gruppo di Djagilev (e malgrado la particolarità della sua vicenda costellata da scandali oltre che dall’eccellenza e dalla straordinarietà del suo talento) sceglie di restare in Europa.
Nel 1912 si apre una nuova fase nella sua vita artistica: la coreografia. È una fase controversa, segnata da dissidi interni alla compagnia, da proposte coreutiche rivoluzionarie rispetto ai codici del balletto, da scelte operative tutt’altro che commerciali e dagli scandali delle prime, ma lo consacra come genio – seppure controverso – della creazione oltre che come grande interprete.
Il 29 maggio del 1912 debutta al Théâtre du Châtelet di Parigi L’Après-midi d’un faune, su musiche di Debussy e ispirato al poema di Mallarmé. La coreografia costa decine di prove, sperimenta un inedito metodo di lavoro che disarticola la postura en déhor delle danzatrici, spezza l’armonia tra il ritmo della musica e del movimento, frammenta i gesti circolari in posizioni angolari e passi non fluidi. Inoltre posiziona le danzatrici/ninfe come figure di un fregio che utilizzano sono un piano della scena, rendendola statica e bidimensionale, e rende i loro visi neutri, pulendoli dalla pantomima e dagli ammiccamenti interpretativi. Delude il pubblico la mancanza di prodezze del suo ruolo di fauno, che scandalizza nel finale simulando una masturbazione col velo rubato a una ninfa. Lo scandalo rende il balletto ancora più celebre, e invita artisti e critici a prendere posizione: molto noto è l’intervento dello scultore Auguste Rodin che lo definisce una grande lezione d’arte. L’anno successivo, dopo il poema danzato Jeux, è la volta dell’altro grande scandalo: il balletto ispirato a un antico rito pagano e caratterizzato dalla ritmica tribale e ipnotica (sulla partitura di Stravinskij), Le Sacre du Printemps, che debutta nel nuovissimo Théâtre des Champs-Élysées il 29 maggio 1913. Nižinskij non appare in questo che diventerà un vero classico della danza, interpretato nei decenni successivi da danzatori di tecniche e generi diversi, dal balletto alla contemporanea, dalla danza espressionista al butō.
Nell’estate di quello stesso anno la compagnia, che dopo ogni stagione parigina effettua lunghe tournée, si imbarca per il Sud America senza Djagilev, che ha paura dei viaggi transoceanici. Durante il viaggio Nižinskij compie un gesto inatteso e sposa la contessa ungherese Romola de Pulszky, che aveva preso a seguire la compagnia in molti suoi spostamenti. Le intenzioni di questa donna e le vicende legate al matrimonio sono oggetto di diverse interpretazioni, sia da parte dei testimoni diretti che degli storici. Di fatto questo gesto costa a Nižinskij l’allontanamento dai Balletti Russi e segna l’inizio di un lungo e drammatico isolamento. Dopo i primi tentativi (falliti) di dirigere un suo gruppo e di organizzare una stagione londinese, il danzatore viene sorpreso dalla guerra e internato in Ungheria (dove nel giugno del 1914 era nata la figlia Kyra) a causa della sua nazionalità. A salvarlo è il suo inserimento occasionale in una tournée americana dei Balletti Russi. A New York, il 23 ottobre 1916, Nižinskij presenta la sua ultima coreografia, il balletto comico-drammatico Till Eulenspiegel, ispirato al personaggio della tradizione tedesca. La tournée, che apporta alcuni successi, è segnata dallo stato psichico del ballerino che non riesce a completare le prove della sua coreografia, discute con gli altri e esplode in scatti di rabbia, dimostra manie persecutorie e segni di quella schizofrenia che gli verrà diagnosticata pochi anni dopo. Nel 1917 muore in manicomio suo fratello Stanislav, mentre la sorella Bronislava prosegue nella sua brillante carriera di ballerina dei Balletti Russi, di cui diventerà coreografa negli anni Venti per poi trasferirsi negli Stati Uniti negli anni Trenta.
Nel 1919, dopo diversi consulti medici e un primo ricovero a Zurigo, Nižinskij viene affidato alle cure di Ludwig Binswanger e internato nel suo lussuoso sanatorio (Bellevue). Nello stesso anno inizia a scrivere i suoi celebri Diari dove raccoglie visioni, impressioni e la sua versione della storia della compagnia e del suo rapporto con loro. Pubblicati per la prima volta nel 1936, verranno tradotti in diverse versioni in tutto il mondo. Nel 1920 intanto era nata Tamara, la sua seconda figlia. All’inizio degli anni Trenta sua moglie – che lo trasferisce da un paese all’altro, da una clinica all’altra, fino alla morte in Inghilterra – organizza alcune mostre dei disegni che il danzatore aveva iniziato a realizzare all’inizio della sua avventura psichiatrica, nel 1917. Nel 1938, malgrado le rimostranze dei medici di Bellevue, Nižinskij viene sottoposto all’insulinoterapia. L’anno successivo, in occasione di una visita del ballerino Serge Lifar che sta organizzando una mostra per i dieci anni dalla morte di Djagilev, Nižinskij entra in un breve contatto con la danza, osserva il giovane fare degli esercizi alla sbarra, ne accompagna i movimenti e poi spicca un improvviso salto: una serie di fotografie scattate da Jean Manzon mostra questo isolato “ritorno”. Per i successivi trenta anni il danzatore entra ed esce da strutture psichiatriche. Non tornerà mai in scena. Solo nel 1919, l’anno dei primi internamenti e dei diari, aveva accettato di esibirsi in una serata di beneficenza in piena guerra, davanti a un pubblico di invitati in villeggiatura o in esilio in Svizzera. Nella Hall dell’Hotel Souvretta, la sera del 19 gennaio, Nižinskij pietrifica il pubblico con una lunga immobilità seguita da momenti di improvvisazione in cui molti leggono una traduzione delle sofferenze della guerra e una vera e propria rappresentazione del dolore. Alternando momenti sfrenati e spaventosi a sequenze più aggraziate, accompagnato da una pianista che appoggia sui suoi movimenti una sonata di Chopin, Nižinskij danza in pubblico per l’ultima volta suggellando quello che resterà noto come il suo Matrimonio con dio. [Annagrazia Marchionni, Samantha Marenzi]
Fonti e Bibl.: [presentiamo qui una selezione di titoli non esaustiva e non del tutto aggiornata, privilegiando i cataloghi di mostre che hanno fatto dialogare i documenti e gli studi con le tracce iconografiche, e omettendo la vasta bibliografia sui Balletti Russi] Geoffrey Whitworth, The Art of Nijinsky, Chatto & Windus, London 1913; Romola Nijinsky, Nijinsky, Gollancz, London 1933; Paul David Magriel, Nijinsky: an illustrated monograph, Henry Holt, New York 1946; Françoise Stanciu-Reiss, Nijninsky ou la grace, Plon, Paris 1957; The diary of Vaslav Nijinsky, Jonathan Cape LTD, London 1963 (trad. it. Adelphi, Milano 1979); Richard Buckle, Nijinsky, Weidenfeld and Nicolson, London 1971; Lincoln Kirstein, Nijinsky Dancing, Knopf, New York 1975; Bronislava Nijinska, Early Memoirs, Faber & Faber, Boston-London 1982; Deborah Maeve Neuman, Vaslav Nijinsky: A dance/movement therapy perspective, Hahnemann University, Philadelphia, 1983; Jennifer Dunning, Richard Buckle, Ann Hutchinson Guest, L’Après-midi d’un Faune – Vaslav Nijinsky 1912, Dance Books LTD, London 1983; Jean-Michel Nectoux (ed.), Afternoon of a Faun. Mallarmé, Debussy, Nijinsky, The Vendome Press, New York/Paris, 1987; Shelley C. Berg, Le sacre du Printemps: seven production from Nijinsky to Martha Graham, in Theater and dramatic studies, UMI Research Press, Michigan 1988; Jean-Michel Pourvoyeur (dir.), Nijinsky «Un dieu danse à travers moi», Musée-Galerie de la Seita, Paris 1989; Jean Michel Nectoux, Nijinsky: Prélude à l’après-midi d’un faune, Adam Biro, Paris 1989; Modris Eksteins, Le sacre du printemps, la grande guerre et la naissance de la modernité, Plon, Paris 1991; Écrits sur Nijinsky, sous la direction de Françoise Stanciu-Reiss pour les textes, Jean-Michel Pourvoyeur pour l’iconographie, Chiron/La Recherche en danse, Paris 1992; Kevin Kopelson, The Queer Afterlife of Vaslav Nijinsky, Stend University Press, 1997; Peter F. Ostwald, Vaslav Nijinsky : A Leap into Madness, Robson Book, New York 1999; Martine Kahane (dir.), Nijinsky 1889-1950, Editions de la Réunion des musées natinaux, Paris 2000; Juliet Bellow, Reforming dance: Auguste Rodin’s “Nijinsky” & Vaslav Nijinsky’s “L’Après-midi d’un faune”, «Cantor Arts Center Journal», n. 3, 2002-2003; Anne H. Bass, The Liman Foundation, Vaslav Nijinsky: Creating a New Artistic Era, The New York Public Library, 2003; John Mc Giness, Vaslav Nijisnky’s Notes for Jeux, «The Musical Quarterly», vol. 88, n. 4, winter, 2005; Sergio Trombetta, Vaslav Nižinskij, L’Epos, Palermo 2008; Lucy Moore, Nijinsky: A Life, Profile Book, London 2013; Samantha Marenzi, L’impronta del fauno. Una danza nascosta nelle fotografie di Adolf de Meyer, «Teatro e Storia», n. 35, 2014; Louis Raffinot, Remarques sur le corps autobiographique dans la psychose. Le saut dans le Cahiers de Nijinsky, «Savoirs et clinique», n. 24, janvier, 2018.