Scultura / Posa Gesto

Tra scultura, danza e fotografia di inizio Novecento riverberano gesti e posture che rendono espressiva la presenza e il movimento del corpo e della figura umana. Rievocati dall’arte del passato e reinventati sotto il segno della modernità, tali gesti attraversano i diversi materiali e linguaggi rendendoli in qualche modo “performativi”.
La dimensione performativa non riguarda soltanto la danza, ma è insita nel gesto fotografico che è in grado di documentare anche producendo immagini artificiali di una determinata realtà.
Immagini nelle quali gesti, pose, attitudini ed espressioni attraversano corpi, che divengono portatori moderni di tracce dell’antichità. Non si tratta di una simulazione puramente “estetica” del passato, ma di un rapporto radicato e profondo con i saperi antichi, che rendono la gestualità non conseguenza di una determinata espressività corporea, ma la motivazione che ne accende l’impulso.
È la “fiamma” che  muove da dentro quei corpi e anima movimenti talvolta invisibili dall’esterno ma che, attraverso lo sguardo di alcuni fotografi, sono emersi in tutta la loro potenza vitale rompendo i confini tra anima e corpo, tra passato e presente, tra spiritualità e materialità. Come è noto, con l’avvento della fotografia molti artisti, tra cui celebri scultori e pittori, si servono di istantanee raffiguranti modelli nudi in pose scultoree, plastiche oppure di atleti e danzatori in posizioni acrobatiche o di tensione muscolare. 

Questo rapporto è ben evidente nel caso de LAge d’airain, opera di Rodin presentata al Salon des artistes belges a Bruxelles nel 1877, che per via di una tale perfezione anatomica subì delle critiche che l’accusavano di essere stata realizzata a partire dall’utilizzo di un calco a vivo. Lo scultore, per smentire le accuse, mostrò una fotografia di Gaudenzio Marconi, fotografo attivo come prolifico autore di nudi per artisti, nella quale Auguste Neyt, un muscoloso telegrafista, posava come modello per la scultura in questione, mostrando sia l’ovvia somiglianza tra opera e modello, ma anche e soprattutto le differenze che ne attestavano la pratica creativa di interpretazione e raffigurazione. Ma è un rapporto che non si esaurisce esclusivamente tra fotografia e scultura.

Quest’ultima diviene anche modello di gesti e posture antiche per quella danza che non guarda più alle regole del balletto accademico, ma che si nutre dello spirito di divinità, di ninfe e baccanti di cui la statuaria e i fregi sono la personificazione, facendolo rivivere nei loro corpi. Esperienza in grado di esplicare al meglio questi connubi artistici è senza dubbio quella della statunitense Isadora Duncan, fondatrice di una nuova cultura della danza. 

Ne Isadora Duncan danse en l’honneur de Rodin, Jean Limet la ritrae in occasione del banchetto di Vélizy del 1903, indetto per celebrare la  decorazione dello scultore francese con la Legione d’Onore, mentre improvvisa una danza nel giardino che incanterà e rimarrà nelle memorie di tutti presenti. Immobile, in questa immagine, con le braccia tese rivolte al cielo come una divinità antica in ascolto.
La “danza del futuro” come la definisce lei stessa, che desidera tramandare e far conoscere attraverso i suoi scritti, tramite l’insegnamento alle sue allieve, è un sapere interdisciplinare che attraversa i secoli, giunge dall’antica Grecia, risiede nei marmi del Partenone che lei è in grado di risvegliare nel presente attraverso le pose e i movimenti liberi della sua danza. Sono gesti dettati dal pensiero e non dal ritmo, perciò espressivi, proprio come fossero di pietra, anche durante l’immobilità corporea, momento di massima tensione spirituale; è una danza che si scolpisce dall’interno, come la definisce Bourdelle. 

Ad evocare la bellezza delle antiche figure è in quegli stessi anni anche Vaslav Nižinskij, ballerino dei Balletti Russi e coreografo de LAprès-midi dun faune, tradotto in immagini dal fotografo pittorialista Adolf de Meyer  nel 1912. La coreografia, pensata come l’animazione di un fregio, vede la presenza di sette ninfe disposte in un’unica fila, in uno spazio privo di prospettiva, totalmente orizzontale, fatta eccezione per la libertà del fauno che irrompe nel fregio, libero di muoversi dentro e fuori da esso. Le ninfe sono modellate come statue, fissate in gesti e pose di cui è stabilito ogni minimo dettaglio, e che rimangono ben definiti anche durante i lenti spostamenti nello spazio. De Meyer le fotografa allo stesso modo, mostrandone i particolari, avvicinandosi fino a frammentare i loro corpi, a scomporli mantenendo però sempre visibile la natura e la genesi di quei gesti antichi, colti in un istante ma in eterno divenire.

Rendere la gestualità di una scultura un modo di essere non solo del corpo, ma anche del pensiero, è ciò che anima Alvin Langdon Coburn quando decide di ritrarre nel 1906, dopo aver ammirato l’esposizione pubblica de Le Penseur a Parigi, l’intellettuale inglese George Bernard Shaw nella stessa posa della celebre scultura di Rodin.
Non si tratta di copiare o unicamente di omaggiare un maestro indiscusso, questa fotografia rende manifesto quanto una scultura possa vivere in altri corpi, essere scolpita dentro la carne e liberata dalla sua transitorietà, per renderla eterna come spirito, come divinità moderna e terrena.

L’importanza di “cogliere” il gesto come significativo tratto espressivo di un corpo è ciò che emerge anche quando il fotografo russo Maurice Goldberg realizza una serie di ritratti a Harald Kreutzberg, danzatore moderno tedesco e autore di mimodrammi e commedie mimate, attitudine questa, che lo porta ad assumere spesso pose eccentriche, inusuali. In talune di queste immagini, il ballerino è avvolto in una pesante veste, che cade fino a terra creando panneggi “marmorei”, enfatizzati da un sapiente uso della luce, che ne scolpiscono il corpo celato al di sotto, in una posa totalmente sbilanciata all’indietro che ricorda quasi il Balzac di Rodin.

È una vertigine dello sguardo nel quale i corpi sono sculture moderne che danzano anche se immobili, e che vibrano “percossi” da uno spirito antico che abita i loro gesti.
Gesti che non nascono unicamente dal movimento del corpo, bensì dalle scosse dell’anima. [Giordana Citti]

 

Il fotografo ha fissato la mano del giovane nel suo giusto grado di apertura, nella sua densità di abbandono: qualche millimetro in più o in meno e il corpo immaginato non sarebbe più stato offerto con benevolenza: il fotografo ha colto il momento giusto, il kairos del desiderio. [Roland Barthes, La camera chiara, traduzione di Renzo Guidieri, Giulio Einaudi editore, Torino 2003, p. 60]

* * *

Ma fin d’ora è da osservare che tutto ciò che attiene al sentimento deve essere esteriorizzato, essere cioè sviluppato nel gesto. L’attore deve trovare un’espressione percettibile, esterna, per le emozioni del suo personaggio, possibilmente un’azione scenica che ne tradisca le intime vicessitudini. L’emozione deve venire alla luce, emanciparsi, per poter essere trattata con maestria. Da un gesto di particolare eleganza, forza e grazia scaturisce lo straniamento. […] Rinunciato che abbia alla totale metamorfosi, l’attore recita il suo testo non come colui che improvvisa, ma come chi fa una citazione. Beninteso, in questa citazione egli deve rendere tutti i toni complementari, tutta la completa plasticità umana dell’enunciato; del pari, il gesto che egli assume, pur dovendo figurare una semplice copia, deve possedere la piena corposità di un gesto umano. [Bertolt Brecht, Scritti teatrali, traduzioni di Emilio Castellani, Roberto Fertonani, Renata Mertens, Giulio Einaudi editore, Torino 2001, pp. 99-100]

* * *

Dolor scattata a Parigi, suggerisce un altro piano di lettura: la posa della donna è molto simile a due sculture di Rodin viste da dietro, Faunesse à genoux e Toilette de Vénus. Anche negli altri nudi sono riconoscibili delle posture che se non direttamente ricalcate sulla gestualità delle statue ne assorbono gli atteggiamenti, l’atmosfera. Il rapporto di Steichen con Rodin non si risolve soltanto nelle fotografie che ritraggono lui e le sue sculture, e nella diffusione in America dei suoi lavori, ma riguarda un livello sottile in cui l’opera dello scultore agisce sulla visione della figura, trasmettendo alle immagini fotografiche quella vibrazione che per Rodin era la vitalità, l’energia, il movimento. La gestualità di questi corpi, in modo più o meno consapevole, mette in scena piccole azioni già compiute, eseguite dalle figure di Rodin e da altre figure prima di loro, fino a perdere le tracce di una matrice formale. [Samantha Marenzi, Immagini di danza, Editoria & Spettacolo, Spoleto (PG) 2018, p. 47]

 

Bisogna sempre percepire il movimento dentro di sé, altrimenti i gesti assomigliano ai movimenti delle marionette. Bisogna abbandonarsi completamente al gesto che si vuol fare, prima di iniziare a eseguirlo. Le emozioni devono sempre essere sentite più intensamente di quanto vengano espresse davvero tramite il movimento. Se non fosse così, si otterebbe un movimento esagerato che fa male agli occhi sensibili, così come un tono di voce esagerato disturba le orecchie sensibili. 

Nella nostra filosofia di danza diciamo: “Pensare prima di muoversi”. Lasciare che il movimento parta dal desiderio di compiere un gesto. Questa è un’eccellente regola per chi danza. Se la si segue, si imparerà presto a non usare movimenti superflui. Vi insegnerò a fare gesti mirati, senza alcuna esagerazione: gesti che significhino qualcosa. [Irma Duncan, La tecnica di Isadora Duncan, a cura di Francesca Falcone e Patrizia Veroli, Dino Audino editore, Roma 2017, p. 51 e p. 32]

* * *

Lo stesso avviene alla Duncan, che appare come una scultura vivente, ovvero una statua che prende vita, ma anche la vita che si forma nella bellezza eterna di una statua. [Samantha Marenzi, Immagini di danza, Editoria & Spettacolo, Spoleto (PG) 2018, p. 17]

           

Tra scultura, danza e fotografia di inizio Novecento riverberano gesti e posture che rendono espressiva la presenza e il movimento del corpo e della figura umana. Rievocati dall’arte del passato e reinventati sotto il segno della modernità, tali gesti attraversano i diversi materiali e linguaggi rendendoli in qualche modo “performativi”.
La dimensione performativa non riguarda soltanto la danza, ma è insita nel gesto fotografico che è in grado di documentare anche producendo immagini artificiali di una determinata realtà.
Immagini nelle quali gesti, pose, attitudini ed espressioni attraversano corpi, che divengono portatori moderni di tracce dell’antichità. Non si tratta di una simulazione puramente “estetica” del passato, ma di un rapporto radicato e profondo con i saperi antichi, che rendono la gestualità non conseguenza di una determinata espressività corporea, ma la motivazione che ne accende l’impulso.
È la “fiamma” che  muove da dentro quei corpi e anima movimenti talvolta invisibili dall’esterno ma che, attraverso lo sguardo di alcuni fotografi, sono emersi in tutta la loro potenza vitale rompendo i confini tra anima e corpo, tra passato e presente, tra spiritualità e materialità. Come è noto, con l’avvento della fotografia molti artisti, tra cui celebri scultori e pittori, si servono di istantanee raffiguranti modelli nudi in pose scultoree, plastiche oppure di atleti e danzatori in posizioni acrobatiche o di tensione muscolare. 

Questo rapporto è ben evidente nel caso de LAge d’airain, opera di Rodin presentata al Salon des artistes belges a Bruxelles nel 1877, che per via di una tale perfezione anatomica subì delle critiche che l’accusavano di essere stata realizzata a partire dall’utilizzo di un calco a vivo. Lo scultore, per smentire le accuse, mostrò una fotografia di Gaudenzio Marconi, fotografo attivo come prolifico autore di nudi per artisti, nella quale Auguste Neyt, un muscoloso telegrafista, posava come modello per la scultura in questione, mostrando sia l’ovvia somiglianza tra opera e modello, ma anche e soprattutto le differenze che ne attestavano la pratica creativa di interpretazione e raffigurazione. Ma è un rapporto che non si esaurisce esclusivamente tra fotografia e scultura.

Quest’ultima diviene anche modello di gesti e posture antiche per quella danza che non guarda più alle regole del balletto accademico, ma che si nutre dello spirito di divinità, di ninfe e baccanti di cui la statuaria e i fregi sono la personificazione, facendolo rivivere nei loro corpi. Esperienza in grado di esplicare al meglio questi connubi artistici è senza dubbio quella della statunitense Isadora Duncan, fondatrice di una nuova cultura della danza. 

Ne Isadora Duncan danse en l’honneur de Rodin, Jean Limet la ritrae in occasione del banchetto di Vélizy del 1903, indetto per celebrare la  decorazione dello scultore francese con la Legione d’Onore, mentre improvvisa una danza nel giardino che incanterà e rimarrà nelle memorie di tutti presenti. Immobile, in questa immagine, con le braccia tese rivolte al cielo come una divinità antica in ascolto.
La “danza del futuro” come la definisce lei stessa, che desidera tramandare e far conoscere attraverso i suoi scritti, tramite l’insegnamento alle sue allieve, è un sapere interdisciplinare che attraversa i secoli, giunge dall’antica Grecia, risiede nei marmi del Partenone che lei è in grado di risvegliare nel presente attraverso le pose e i movimenti liberi della sua danza. Sono gesti dettati dal pensiero e non dal ritmo, perciò espressivi, proprio come fossero di pietra, anche durante l’immobilità corporea, momento di massima tensione spirituale; è una danza che si scolpisce dall’interno, come la definisce Bourdelle. 

Ad evocare la bellezza delle antiche figure è in quegli stessi anni anche Vaslav Nižinskij, ballerino dei Balletti Russi e coreografo de LAprès-midi dun faune, tradotto in immagini dal fotografo pittorialista Adolf de Meyer  nel 1912. La coreografia, pensata come l’animazione di un fregio, vede la presenza di sette ninfe disposte in un’unica fila, in uno spazio privo di prospettiva, totalmente orizzontale, fatta eccezione per la libertà del fauno che irrompe nel fregio, libero di muoversi dentro e fuori da esso. Le ninfe sono modellate come statue, fissate in gesti e pose di cui è stabilito ogni minimo dettaglio, e che rimangono ben definiti anche durante i lenti spostamenti nello spazio. De Meyer le fotografa allo stesso modo, mostrandone i particolari, avvicinandosi fino a frammentare i loro corpi, a scomporli mantenendo però sempre visibile la natura e la genesi di quei gesti antichi, colti in un istante ma in eterno divenire.

Rendere la gestualità di una scultura un modo di essere non solo del corpo, ma anche del pensiero, è ciò che anima Alvin Langdon Coburn quando decide di ritrarre nel 1906, dopo aver ammirato l’esposizione pubblica de Le Penseur a Parigi, l’intellettuale inglese George Bernard Shaw nella stessa posa della celebre scultura di Rodin.
Non si tratta di copiare o unicamente di omaggiare un maestro indiscusso, questa fotografia rende manifesto quanto una scultura possa vivere in altri corpi, essere scolpita dentro la carne e liberata dalla sua transitorietà, per renderla eterna come spirito, come divinità moderna e terrena.

L’importanza di “cogliere” il gesto come significativo tratto espressivo di un corpo è ciò che emerge anche quando il fotografo russo Maurice Goldberg realizza una serie di ritratti a Harald Kreutzberg, danzatore moderno tedesco e autore di mimodrammi e commedie mimate, attitudine questa, che lo porta ad assumere spesso pose eccentriche, inusuali. In talune di queste immagini, il ballerino è avvolto in una pesante veste, che cade fino a terra creando panneggi “marmorei”, enfatizzati da un sapiente uso della luce, che ne scolpiscono il corpo celato al di sotto, in una posa totalmente sbilanciata all’indietro che ricorda quasi il Balzac di Rodin.

È una vertigine dello sguardo nel quale i corpi sono sculture moderne che danzano anche se immobili, e che vibrano “percossi” da uno spirito antico che abita i loro gesti.
Gesti che non nascono unicamente dal movimento del corpo, bensì dalle scosse dell’anima. [Giordana Citti]

 

Il fotografo ha fissato la mano del giovane nel suo giusto grado di apertura, nella sua densità di abbandono: qualche millimetro in più o in meno e il corpo immaginato non sarebbe più stato offerto con benevolenza: il fotografo ha colto il momento giusto, il kairos del desiderio. [Roland Barthes, La camera chiara, traduzione di Renzo Guidieri, Giulio Einaudi editore, Torino 2003, p. 60]

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Ma fin d’ora è da osservare che tutto ciò che attiene al sentimento deve essere esteriorizzato, essere cioè sviluppato nel gesto. L’attore deve trovare un’espressione percettibile, esterna, per le emozioni del suo personaggio, possibilmente un’azione scenica che ne tradisca le intime vicessitudini. L’emozione deve venire alla luce, emanciparsi, per poter essere trattata con maestria. Da un gesto di particolare eleganza, forza e grazia scaturisce lo straniamento. […] Rinunciato che abbia alla totale metamorfosi, l’attore recita il suo testo non come colui che improvvisa, ma come chi fa una citazione. Beninteso, in questa citazione egli deve rendere tutti i toni complementari, tutta la completa plasticità umana dell’enunciato; del pari, il gesto che egli assume, pur dovendo figurare una semplice copia, deve possedere la piena corposità di un gesto umano. [Bertolt Brecht, Scritti teatrali, traduzioni di Emilio Castellani, Roberto Fertonani, Renata Mertens, Giulio Einaudi editore, Torino 2001, pp. 99-100]

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Dolor scattata a Parigi, suggerisce un altro piano di lettura: la posa della donna è molto simile a due sculture di Rodin viste da dietro, Faunesse à genoux e Toilette de Vénus. Anche negli altri nudi sono riconoscibili delle posture che se non direttamente ricalcate sulla gestualità delle statue ne assorbono gli atteggiamenti, l’atmosfera. Il rapporto di Steichen con Rodin non si risolve soltanto nelle fotografie che ritraggono lui e le sue sculture, e nella diffusione in America dei suoi lavori, ma riguarda un livello sottile in cui l’opera dello scultore agisce sulla visione della figura, trasmettendo alle immagini fotografiche quella vibrazione che per Rodin era la vitalità, l’energia, il movimento. La gestualità di questi corpi, in modo più o meno consapevole, mette in scena piccole azioni già compiute, eseguite dalle figure di Rodin e da altre figure prima di loro, fino a perdere le tracce di una matrice formale. [Samantha Marenzi, Immagini di danza, Editoria & Spettacolo, Spoleto (PG) 2018, p. 47]

 

Bisogna sempre percepire il movimento dentro di sé, altrimenti i gesti assomigliano ai movimenti delle marionette. Bisogna abbandonarsi completamente al gesto che si vuol fare, prima di iniziare a eseguirlo. Le emozioni devono sempre essere sentite più intensamente di quanto vengano espresse davvero tramite il movimento. Se non fosse così, si otterebbe un movimento esagerato che fa male agli occhi sensibili, così come un tono di voce esagerato disturba le orecchie sensibili. 

Nella nostra filosofia di danza diciamo: “Pensare prima di muoversi”. Lasciare che il movimento parta dal desiderio di compiere un gesto. Questa è un’eccellente regola per chi danza. Se la si segue, si imparerà presto a non usare movimenti superflui. Vi insegnerò a fare gesti mirati, senza alcuna esagerazione: gesti che significhino qualcosa. [Irma Duncan, La tecnica di Isadora Duncan, a cura di Francesca Falcone e Patrizia Veroli, Dino Audino editore, Roma 2017, p. 51 e p. 32]

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Lo stesso avviene alla Duncan, che appare come una scultura vivente, ovvero una statua che prende vita, ma anche la vita che si forma nella bellezza eterna di una statua. [Samantha Marenzi, Immagini di danza, Editoria & Spettacolo, Spoleto (PG) 2018, p. 17]