Ritmo / Scrittura

A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento i campi della scienza e le pratiche del teatro e della danza si influenzano reciprocamente nell’orbita della riflessione sulla sorgente del movimento. Una delle opere più emblematiche, sintesi di tale dialogo, è L’Art et l’Hypnose, di Émile Magnin, psicoterapeuta svizzero e professore all’École de Magnétisme di Parigi. Uscito intorno al 1904, il volume raccoglie le sue osservazioni sulle peculiari reazioni psico-fisiologiche di Magdeleine G. alle vibrazioni sonore in uno stato incosciente: la donna infatti durante delle sedute di ipnosi, iniziate per curare la sua emicrania, sprigionava nel movimento una potenza tale da portare Magnin a riflettere sull’origine di quella che si manifesta come pura creazione artistica, e sulla capacità della musica di raggiungere energie latenti dell’uomo e risvegliarle.

Ne L’Art et l’Hypnose l’apparato iconografico, che assume un’importanza sostanziale, è affidato a Frédéric Boissonnas. Il fotografo aveva già collaborato con Émile Magnin l’anno precedente fotografando Magdeleine G. all’aperto, mentre danza sulle opere di Verdi e Wagner. Questa serie fa parte del volume insieme ad altre realizzate in studio o in teatro. Col tentativo di ricostruire le performance attraverso l’immagine, Boissonnas dispone le pose di danza in successione indicando sotto dei riferimenti alle singole battute musicali o ai versi poetici. La partitura musicale e quella fisica accostate si richiamano a vicenda in uno scorrere univoco, anche se fra le due non c’è un’effettiva coincidenza, se non simbolica: nell’immagine il gesto condensa la durata della musica e le dà corpo nello spazio; lo spartito invece dona al movimento frammentato una struttura ritmica e temporale.

Un’operazione simile, di trascrizione musicale e fisica, è attuata dal celebre fotografo Nadar (Gaspard-Félix) che realizza le fotografie di un precedente volume a cui Émile Magnin si rifà esplicitamente: Les Sentiments, la Musique et le Geste, di Albert de Rochas, in cui l’autore analizza la musica come impulso del movimento attraverso una medium di nome Lina. A differenza di Boissonnas, egli non divide lo spartito in brevi battute, ma nel suo procedere continuo si riflette la scelta di fissare il movimento del corpo in una catena ininterrotta di fotogrammi, che offrono una maggiore gamma di sfumature.

In un contesto differente, Valentine Hugo, artista conosciuta soprattutto per il suo legame col movimento surrealista a partire dagli anni Venti, mostra un ulteriore grado della sperimentazione sulla corrispondenza tra valore musicale scritto e gesto.

Grande appassionata di musica e danza, l’artista segue dal 1913 la tournée francese dei Ballets Russes realizzando numerosi schizzi. Alcuni di questi sono tratti dalla celebre coreografia Le Sacre du Printemps, opera composta da Igor Stravinskij, e che sin dalla prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi riscuote un enorme successo.

Di questo balletto Hugo raffigura diverse pose sparse sul foglio e legate a dei frammenti musicali. Alla configurazione spigolosa del rigo musicale e delle note, si contrappone un corpo libero i cui tratti sono suggeriti da linee fluide ed essenziali: un movimento che si disfa della sua impronta musicale. [Simona Silvestri]

 

Era una musica che non si espandeva, che non si abbandonava alle sue risonanze. […] è soprattutto nella Sagra della Primavera che questa brevità e contrazione dei suoni si fanno veramente stupefacenti: lo si sente fin dalle sue prime battute; nessuna dispersione, nessuna fuga; la melodia avanza in linea retta; si sviluppa e procede senza effondersi minimamente; siamo presi da un senso di soffocamento opprimente; i suoni muoiono senza aver superato i limiti dello spazio che occupavano nascendo. […] Più nessuna eco, perché nulla deve essere più espresso mediante semplice allusione. […]

Tutti i caratteri della musica hanno origine in questa volontà di espressione diretta e testuale.

[…] Cosa c’è di più eteroclito, di più incomprensibile e di più perfetto di quella musica, alla fine del primo quadro della Sagra della Primavera, durante la corsa degli Adolescenti, dove non c’è più né melodia, né armonia, né gioco di timbri, ma soltanto una sorta di ronzio ritmico, di pura animazione […]?

[…] La novità della Sagra della Primavera consiste, nel ritorno al corpo, nello sforzo di aderire il più possibile ai suoi movimenti naturali, di non ascoltare che i suoi suggerimenti più immediati, radicali, etimologici. Il movimento è ridotto all’obbedienza; è incessantemente ricondotto al corpo, riunito a lui, riafferrato, trattenuto, come si prende qualcuno per le braccia per impedirgli di fuggire. È un movimento che non si allontana mai dal corpo, un movimento al quale si impedisce di cantare la sua piccola romanza, un movimento che torna a prendere ordini ad ogni istante. Ci accorgiamo a questo punto che Nijinsky ha la stessa preoccupazione di Stravinskij: affrontare ogni cosa secondo il suo particolare orientamento. Egli vuole seguire fedelmente tutte le inclinazioni del corpo, qualunque sia lo scarto fra l’una e l’altra, e solo così discendere al movimento. Ma, poiché non è possibile accompagnarle tutte contemporaneamente, dopo averne seguita una per un istante, l’abbandona bruscamente, la lascia al suo destino e torna indietro a cercarne un’altra. È una danza organica; tutti i movimenti di cui si compone conservano una perfetta identità con le membra che li eseguono; ne colgono il significato e ne mantengono la brevità; restano loro congiunti e come fisiologicamente legati. […] E di qui nasce un’armonia inedita. Se si vorrà una buona volta cessare di confondere la grazia con la simmetria e l’arabesco, la si ritroverà a ogni pagina della Sagra della Primavera. [Jacques Rivière, Le Sacre du Printemps, in «Nouvelle Revue Française», 1 November 1913 (trad. in Alle origini della Danza Moderna, a cura di Eugenia Casini Ropa, il Mulino, Bologna, 1990, p. 269)]

 

En marquant les mouvements qui conviennent à ces passions et y joignant les accents qui leur sont propres, la musique les réveille et les excite; elle les change ou les calme à son gré, en combinant la mesure, l’ordre et la succession de ses mouvements. [Albert de Rochas, Les Sentiments, la Musique et le Geste, Lib. Dauphinoise, Grenoble, 1900, p. 132]

* * *

[…] Ses gestes, qui se suivant sans secousse, sont évidemment la conséquence d’une pensée qui lui a été véhiculée par les sons musicaux […]. [Émile Magnin, L’Art et l’Hypnose. Interprétation plastique d’œuvres littéraires et musicales, Atar-Alcan, Genève-Paris, s.d. (inverno 1904-1905) p. 81]

* * *

In ogni singolo momento non si sa forse ciò che accadrà in seguito, ma non bisogna lasciarsi sfuggire la consapevolezza di quanto si è sentito o visto prima. L’opera a poco a poco diventa un tutto, e man mano che se ne accompagna lo svolgimento bisogna continuamente ritornare a quanto è scomparso dalla percezione diretta dell’occhio e dell’orecchio ma sopravvive nella memoria. […] Durante lo spettacolo non si dà soltanto un’aggiunta di nuovi anelli alla catena, bensì anche una costante modifica del “prima” operata da ciò che viene dopo. […] La struttura di una performance deriva dall’interazione delle tracce che lascia dentro di noi. [Rudolf Arnheim, Arte e percezione visiva, a cura di Gillo Dorfles, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 305 (seconda versione ed. or. 1974)]

A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento i campi della scienza e le pratiche del teatro e della danza si influenzano reciprocamente nell’orbita della riflessione sulla sorgente del movimento. Una delle opere più emblematiche, sintesi di tale dialogo, è L’Art et l’Hypnose, di Émile Magnin, psicoterapeuta svizzero e professore all’École de Magnétisme di Parigi. Uscito intorno al 1904, il volume raccoglie le sue osservazioni sulle peculiari reazioni psico-fisiologiche di Magdeleine G. alle vibrazioni sonore in uno stato incosciente: la donna infatti durante delle sedute di ipnosi, iniziate per curare la sua emicrania, sprigionava nel movimento una potenza tale da portare Magnin a riflettere sull’origine di quella che si manifesta come pura creazione artistica, e sulla capacità della musica di raggiungere energie latenti dell’uomo e risvegliarle.

Ne L’Art et l’Hypnose l’apparato iconografico, che assume un’importanza sostanziale, è affidato a Frédéric Boissonnas. Il fotografo aveva già collaborato con Émile Magnin l’anno precedente fotografando Magdeleine G. all’aperto, mentre danza sulle opere di Verdi e Wagner. Questa serie fa parte del volume insieme ad altre realizzate in studio o in teatro. Col tentativo di ricostruire le performance attraverso l’immagine, Boissonnas dispone le pose di danza in successione indicando sotto dei riferimenti alle singole battute musicali o ai versi poetici. La partitura musicale e quella fisica accostate si richiamano a vicenda in uno scorrere univoco, anche se fra le due non c’è un’effettiva coincidenza, se non simbolica: nell’immagine il gesto condensa la durata della musica e le dà corpo nello spazio; lo spartito invece dona al movimento frammentato una struttura ritmica e temporale.

Un’operazione simile, di trascrizione musicale e fisica, è attuata dal celebre fotografo Nadar (Gaspard-Félix) che realizza le fotografie di un precedente volume a cui Émile Magnin si rifà esplicitamente: Les Sentiments, la Musique et le Geste, di Albert de Rochas, in cui l’autore analizza la musica come impulso del movimento attraverso una medium di nome Lina. A differenza di Boissonnas, egli non divide lo spartito in brevi battute, ma nel suo procedere continuo si riflette la scelta di fissare il movimento del corpo in una catena ininterrotta di fotogrammi, che offrono una maggiore gamma di sfumature.

In un contesto differente, Valentine Hugo, artista conosciuta soprattutto per il suo legame col movimento surrealista a partire dagli anni Venti, mostra un ulteriore grado della sperimentazione sulla corrispondenza tra valore musicale scritto e gesto.

Grande appassionata di musica e danza, l’artista segue dal 1913 la tournée francese dei Ballets Russes realizzando numerosi schizzi. Alcuni di questi sono tratti dalla celebre coreografia Le Sacre du Printemps, opera composta da Igor Stravinskij, e che sin dalla prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi riscuote un enorme successo.

Di questo balletto Hugo raffigura diverse pose sparse sul foglio e legate a dei frammenti musicali. Alla configurazione spigolosa del rigo musicale e delle note, si contrappone un corpo libero i cui tratti sono suggeriti da linee fluide ed essenziali: un movimento che si disfa della sua impronta musicale. [Simona Silvestri]

 

Era una musica che non si espandeva, che non si abbandonava alle sue risonanze. […] è soprattutto nella Sagra della Primavera che questa brevità e contrazione dei suoni si fanno veramente stupefacenti: lo si sente fin dalle sue prime battute; nessuna dispersione, nessuna fuga; la melodia avanza in linea retta; si sviluppa e procede senza effondersi minimamente; siamo presi da un senso di soffocamento opprimente; i suoni muoiono senza aver superato i limiti dello spazio che occupavano nascendo. […] Più nessuna eco, perché nulla deve essere più espresso mediante semplice allusione. […]

Tutti i caratteri della musica hanno origine in questa volontà di espressione diretta e testuale.

[…] Cosa c’è di più eteroclito, di più incomprensibile e di più perfetto di quella musica, alla fine del primo quadro della Sagra della Primavera, durante la corsa degli Adolescenti, dove non c’è più né melodia, né armonia, né gioco di timbri, ma soltanto una sorta di ronzio ritmico, di pura animazione […]?

[…] La novità della Sagra della Primavera consiste, nel ritorno al corpo, nello sforzo di aderire il più possibile ai suoi movimenti naturali, di non ascoltare che i suoi suggerimenti più immediati, radicali, etimologici. Il movimento è ridotto all’obbedienza; è incessantemente ricondotto al corpo, riunito a lui, riafferrato, trattenuto, come si prende qualcuno per le braccia per impedirgli di fuggire. È un movimento che non si allontana mai dal corpo, un movimento al quale si impedisce di cantare la sua piccola romanza, un movimento che torna a prendere ordini ad ogni istante. Ci accorgiamo a questo punto che Nijinsky ha la stessa preoccupazione di Stravinskij: affrontare ogni cosa secondo il suo particolare orientamento. Egli vuole seguire fedelmente tutte le inclinazioni del corpo, qualunque sia lo scarto fra l’una e l’altra, e solo così discendere al movimento. Ma, poiché non è possibile accompagnarle tutte contemporaneamente, dopo averne seguita una per un istante, l’abbandona bruscamente, la lascia al suo destino e torna indietro a cercarne un’altra. È una danza organica; tutti i movimenti di cui si compone conservano una perfetta identità con le membra che li eseguono; ne colgono il significato e ne mantengono la brevità; restano loro congiunti e come fisiologicamente legati. […] E di qui nasce un’armonia inedita. Se si vorrà una buona volta cessare di confondere la grazia con la simmetria e l’arabesco, la si ritroverà a ogni pagina della Sagra della Primavera. [Jacques Rivière, Le Sacre du Printemps, in «Nouvelle Revue Française», 1 November 1913 (trad. in Alle origini della Danza Moderna, a cura di Eugenia Casini Ropa, il Mulino, Bologna, 1990, p. 269)]

 

En marquant les mouvements qui conviennent à ces passions et y joignant les accents qui leur sont propres, la musique les réveille et les excite; elle les change ou les calme à son gré, en combinant la mesure, l’ordre et la succession de ses mouvements. [Albert de Rochas, Les Sentiments, la Musique et le Geste, Lib. Dauphinoise, Grenoble, 1900, p. 132]

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[…] Ses gestes, qui se suivant sans secousse, sont évidemment la conséquence d’une pensée qui lui a été véhiculée par les sons musicaux […]. [Émile Magnin, L’Art et l’Hypnose. Interprétation plastique d’œuvres littéraires et musicales, Atar-Alcan, Genève-Paris, s.d. (inverno 1904-1905) p. 81]

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In ogni singolo momento non si sa forse ciò che accadrà in seguito, ma non bisogna lasciarsi sfuggire la consapevolezza di quanto si è sentito o visto prima. L’opera a poco a poco diventa un tutto, e man mano che se ne accompagna lo svolgimento bisogna continuamente ritornare a quanto è scomparso dalla percezione diretta dell’occhio e dell’orecchio ma sopravvive nella memoria. […] Durante lo spettacolo non si dà soltanto un’aggiunta di nuovi anelli alla catena, bensì anche una costante modifica del “prima” operata da ciò che viene dopo. […] La struttura di una performance deriva dall’interazione delle tracce che lascia dentro di noi. [Rudolf Arnheim, Arte e percezione visiva, a cura di Gillo Dorfles, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 305 (seconda versione ed. or. 1974)]