Grazie / Antichità

L’Antico è una delle principali fonti di ispirazione della danza di inizio Novecento e costituisce una matrice riconoscibile delle sue raffigurazioni. I suoi modelli derivano derivano dalla pittura vascolare, dalla scultura, dall’architettura, dalla religione, dalla filosofia e dai fenomeni culturali dell’antica Grecia fruiti nei grandi musei delle capitali europee, attraverso le operazioni archeologiche e tramite i libri, ma anche osservati nelle rivisitazioni delle diverse epoche che hanno reinterpretato il modello classico dando maggiore o minore fortuna ad alcune sue formule.

Tra queste, una che ha visto importanti trasformazioni sia formali che di significato, è quella delle Tre Grazie, illustrata in affreschi e mosaici e scolpita in rilievi che ne riproducono lo schema: quello originario delle tre donne nude, una di fronte, una di profilo e una di schiena con le braccia intrecciate tra loro a simboleggiare il dare, il ricevere, il restituire. Se il significato della loro postura e dei loro gesti arriva dai testi e dai frammenti letterali che nel tempo ne hanno dato spiegazione (le parole di Seneca tra le più note), la visione passa attraverso la pietra dei rilievi e le terre delle pitture, nei frammenti spesso sottratti dal loro contesto e visti isolati e come ingranditi nelle collezioni private e nel loro approdo ai grandi musei.

Esistono nell’antichità anche versioni delle Grazie vestite e talvolta, nei codici delle convenzioni figurative delle diverse epoche, la linea su cui si sviluppa il trio prende la forma del cerchio: l’intreccio tra le tre figure si dilata nello spazio e anche nel tempo, poiché il cerchio e la stretta tra le ragazze che passa dalle spalle alle mani implica l’andatura di un movimento. Lo dimostrano le vesti fluttuanti che disegnano attorno ai corpi la scia del loro slancio circolare.

Tale movimento è uno dei fattori d’attrazione verso la formula delle Grazie da parte delle sperimentatrici della danza libera, ricercatrici di gesti e coreografie depositati nella memoria collettiva e nella storia della civiltà, in quelle profondità del tempo in cui la danza aveva un valore rituale e cerimoniale, e l’azione del corpo un significato filosofico trasmesso attraverso le immagini e le loro descrizioni.

Un altro fattore di attrazione è la liberalità di cui le antiche Grazie sono il simbolo e che le donne moderne pongono al centro della loro ricerca di un rinnovamento del corpo individuale e del corpo sociale. Profetesse di un mondo di armonia tra gli uomini e tra questi e la natura, detentrici di una tecnica utile alla formazione della persona più che al cammino professionale, maestre e allieve di un sapere eterogeneo e trans-storico, le danzatrici usano il significato simbolico dell’antico trio che si attiva assumendone i gesti e le posture.

Infine, la grazia. Elemento centrale della danza e virtù intrinseca nelle tre figure che arrivano dal tempo antico e che attraversano le epoche e i loro stili di raffigurazione.

Tra le danzatrici più consapevoli di questi fattori ci sono le allieve di Isadora Duncan, protagoniste di coreografie ispirate alle Tre Grazie, allevate nel culto dell’antico e percepite come le incarnazioni stesse della grazia e della giovinezza unite ai valori universali della concezione della danza della loro maestra. Oltre che in scena, in molte fotografie le ragazze appaiono in trio e riproducono il motivo delle Tre Grazie nelle sue diverse trasformazioni, in particolare davanti all’obiettivo di Arnold Genthe, fotografo proveniente da studi accademici, tra i più sensibili ai temi dell’Antico e artefice del loro ritorno nella cultura visiva moderna. [Samantha Marenzi]

 

 

 

[…] Dei quali benefici ti dirò quali siano la forza e le proprietà se prima mi avrai permesso di trattare rapidamente quegli argomenti che non sono pertinenti all’oggetto del discorso, ovvero per quale motivo le Grazie siano tre, per quale motivo siano sorelle, per quale motivo intreccino le loro mani, per quale motivo sorridano e siano giovani, per quale motivo siano vergini e per quale motivo abbiano delle vesti sciolte e trasparenti. Alcuni da parte loro vogliono che sembri che ce ne sia una che dà, l’altra che riceve, la terza che restituisce; altri vogliono che esistano tre generi di benefattori: quelli che danno per primi i benefici, coloro che li restituiscono, coloro che li ricevono e che nello stesso tempo li contraccambiano. Ma giudica tu quale tra queste due ipotesi sia la più veritiera; a cosa giova questa conoscenza? Perché esse, tenendosi per mano, danzano in cerchio? Proprio per questo, perché la sequenza dei benefici passando di mano in mano comunque torna indietro a colui che per primo ha donato e perde la sua integrità se per caso viene interrotta, mentre è bellissima se resiste e conserva il suo continuo avvicendamento. In questa danza tuttavia la maggiore delle Grazie gode di particolare rilievo, proprio come colui che dà per primo. I volti sono felici, come sono soliti essere quelli di coloro che danno o ricevono benefici. Sono giovani, perché la memoria dei benefici non deve invecchiare; vergini, perché sono incorrotte, pure e sacre per tutti; in esse non è decoroso che ci sia alcunché di trattenuto né di vincolato; pertanto posseggono tuniche sciolte e per giunta trasparenti perché i benefici vogliono essere osservati da tutti. [Lucio Anneo Seneca, Sui benefici, traduzione di Martino Menghi, editori Laterza, Roma 2008]

* * *

 

Do we know any more about the Dithyramb? Happily yes, and the next point is as curious as significant.
Pindar, in one of his Odes, asks a strange question: “Whence did appear the Graces of Dionysos, With the Bull-driving Dithyramb?”. Scholars have broken their own heads and one another’s to find a meaning and an answer to the odd query. It is only quite lately that they have come at all to see that the Dithyramb was a Spring Song, a primitive rite. Formerly it was considered to be a rather elaborate form of lyric poetry invented comparatively late. But, even allowing it is the Spring Song, are we much further? Why should the Dithyramb be bull-driving? How can driving a Bull help the spring to come? And, above all, what are the “slender-ankled” Graces doing, helping to drive the great unwieldy Bull?
The difficulty about the Graces, or Charites, as the Greeks called them, is soon settled. They are the Seasons, or “Hours”, and the chief Season, or Hour, was Spring herself. They are called Charites, or Graces, because they are, in the words of the Collect, the “Givers of all grace”, that is, of all increase physical and spiritual. But why do they want to come driving in a Bull? It is easy to see why the Givers of all grace lead the Dithyramb, the Spring Song; their coming, with their “fruits in due season” is the very gist of the Dithyramb; but why is the Dithyramb “bull-driving”? Is this a mere “poetical” epithet? If it is, it is not particularly poetical.
But Pindar is not, we now know, merely being “poetical”, which amounts, according to some scholars, to meaning anything or nothing. He is describing, alluding to, an actual rite or dromenon in which a Bull is summoned and driven to come in spring. About that we must be clear. Plutarch, the first anthropologist, wrote a little treatise called Greek Questions, in which he tells us all the strange out-of-the-way rites and customs he saw in Greece, and then asks himself what they meant. In his 36th Question he asks: “Why do the women of Elis summon Dionysos in their hymns to be present with them with his bull-foot?” And then, by a piece of luck that almost makes one’s heart stand still, he gives us the very words of the little ritual hymn the women sang, our earliest “Bull-driving” Spring Song:

“In Spring-time, O Dionysos,
To thy holy temple come;
To Elis with thy Graces,
Rushing with thy bull-foot, come,
Noble Bull, Noble Bull”.

It is a strange primitive picture – the holy women standing in springtime in front of the temple, summoning the Bull; and the Bull, garlanded and filleted, rushing towards them, driven by the Graces, probably three real women, three Queens of the May, wreathed and flower-bedecked. But what does it mean? [Jane Ellen Harrison, Ancient Art and Ritual, New York, Henry Holt and Company/London,Tthornton Butterworth Ltd, 1913, pp. 83-86]

 

L’Antico è una delle principali fonti di ispirazione della danza di inizio Novecento e costituisce una matrice riconoscibile delle sue raffigurazioni. I suoi modelli derivano derivano dalla pittura vascolare, dalla scultura, dall’architettura, dalla religione, dalla filosofia e dai fenomeni culturali dell’antica Grecia fruiti nei grandi musei delle capitali europee, attraverso le operazioni archeologiche e tramite i libri, ma anche osservati nelle rivisitazioni delle diverse epoche che hanno reinterpretato il modello classico dando maggiore o minore fortuna ad alcune sue formule.

Tra queste, una che ha visto importanti trasformazioni sia formali che di significato, è quella delle Tre Grazie, illustrata in affreschi e mosaici e scolpita in rilievi che ne riproducono lo schema: quello originario delle tre donne nude, una di fronte, una di profilo e una di schiena con le braccia intrecciate tra loro a simboleggiare il dare, il ricevere, il restituire. Se il significato della loro postura e dei loro gesti arriva dai testi e dai frammenti letterali che nel tempo ne hanno dato spiegazione (le parole di Seneca tra le più note), la visione passa attraverso la pietra dei rilievi e le terre delle pitture, nei frammenti spesso sottratti dal loro contesto e visti isolati e come ingranditi nelle collezioni private e nel loro approdo ai grandi musei.

Esistono nell’antichità anche versioni delle Grazie vestite e talvolta, nei codici delle convenzioni figurative delle diverse epoche, la linea su cui si sviluppa il trio prende la forma del cerchio: l’intreccio tra le tre figure si dilata nello spazio e anche nel tempo, poiché il cerchio e la stretta tra le ragazze che passa dalle spalle alle mani implica l’andatura di un movimento. Lo dimostrano le vesti fluttuanti che disegnano attorno ai corpi la scia del loro slancio circolare.

Tale movimento è uno dei fattori d’attrazione verso la formula delle Grazie da parte delle sperimentatrici della danza libera, ricercatrici di gesti e coreografie depositati nella memoria collettiva e nella storia della civiltà, in quelle profondità del tempo in cui la danza aveva un valore rituale e cerimoniale, e l’azione del corpo un significato filosofico trasmesso attraverso le immagini e le loro descrizioni.

Un altro fattore di attrazione è la liberalità di cui le antiche Grazie sono il simbolo e che le donne moderne pongono al centro della loro ricerca di un rinnovamento del corpo individuale e del corpo sociale. Profetesse di un mondo di armonia tra gli uomini e tra questi e la natura, detentrici di una tecnica utile alla formazione della persona più che al cammino professionale, maestre e allieve di un sapere eterogeneo e trans-storico, le danzatrici usano il significato simbolico dell’antico trio che si attiva assumendone i gesti e le posture.

Infine, la grazia. Elemento centrale della danza e virtù intrinseca nelle tre figure che arrivano dal tempo antico e che attraversano le epoche e i loro stili di raffigurazione.

Tra le danzatrici più consapevoli di questi fattori ci sono le allieve di Isadora Duncan, protagoniste di coreografie ispirate alle Tre Grazie, allevate nel culto dell’antico e percepite come le incarnazioni stesse della grazia e della giovinezza unite ai valori universali della concezione della danza della loro maestra. Oltre che in scena, in molte fotografie le ragazze appaiono in trio e riproducono il motivo delle Tre Grazie nelle sue diverse trasformazioni, in particolare davanti all’obiettivo di Arnold Genthe, fotografo proveniente da studi accademici, tra i più sensibili ai temi dell’Antico e artefice del loro ritorno nella cultura visiva moderna. [Samantha Marenzi]

 

 

 

[…] Dei quali benefici ti dirò quali siano la forza e le proprietà se prima mi avrai permesso di trattare rapidamente quegli argomenti che non sono pertinenti all’oggetto del discorso, ovvero per quale motivo le Grazie siano tre, per quale motivo siano sorelle, per quale motivo intreccino le loro mani, per quale motivo sorridano e siano giovani, per quale motivo siano vergini e per quale motivo abbiano delle vesti sciolte e trasparenti. Alcuni da parte loro vogliono che sembri che ce ne sia una che dà, l’altra che riceve, la terza che restituisce; altri vogliono che esistano tre generi di benefattori: quelli che danno per primi i benefici, coloro che li restituiscono, coloro che li ricevono e che nello stesso tempo li contraccambiano. Ma giudica tu quale tra queste due ipotesi sia la più veritiera; a cosa giova questa conoscenza? Perché esse, tenendosi per mano, danzano in cerchio? Proprio per questo, perché la sequenza dei benefici passando di mano in mano comunque torna indietro a colui che per primo ha donato e perde la sua integrità se per caso viene interrotta, mentre è bellissima se resiste e conserva il suo continuo avvicendamento. In questa danza tuttavia la maggiore delle Grazie gode di particolare rilievo, proprio come colui che dà per primo. I volti sono felici, come sono soliti essere quelli di coloro che danno o ricevono benefici. Sono giovani, perché la memoria dei benefici non deve invecchiare; vergini, perché sono incorrotte, pure e sacre per tutti; in esse non è decoroso che ci sia alcunché di trattenuto né di vincolato; pertanto posseggono tuniche sciolte e per giunta trasparenti perché i benefici vogliono essere osservati da tutti. [Lucio Anneo Seneca, Sui benefici, traduzione di Martino Menghi, editori Laterza, Roma 2008]

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Do we know any more about the Dithyramb? Happily yes, and the next point is as curious as significant.
Pindar, in one of his Odes, asks a strange question: “Whence did appear the Graces of Dionysos, With the Bull-driving Dithyramb?”. Scholars have broken their own heads and one another’s to find a meaning and an answer to the odd query. It is only quite lately that they have come at all to see that the Dithyramb was a Spring Song, a primitive rite. Formerly it was considered to be a rather elaborate form of lyric poetry invented comparatively late. But, even allowing it is the Spring Song, are we much further? Why should the Dithyramb be bull-driving? How can driving a Bull help the spring to come? And, above all, what are the “slender-ankled” Graces doing, helping to drive the great unwieldy Bull?
The difficulty about the Graces, or Charites, as the Greeks called them, is soon settled. They are the Seasons, or “Hours”, and the chief Season, or Hour, was Spring herself. They are called Charites, or Graces, because they are, in the words of the Collect, the “Givers of all grace”, that is, of all increase physical and spiritual. But why do they want to come driving in a Bull? It is easy to see why the Givers of all grace lead the Dithyramb, the Spring Song; their coming, with their “fruits in due season” is the very gist of the Dithyramb; but why is the Dithyramb “bull-driving”? Is this a mere “poetical” epithet? If it is, it is not particularly poetical.
But Pindar is not, we now know, merely being “poetical”, which amounts, according to some scholars, to meaning anything or nothing. He is describing, alluding to, an actual rite or dromenon in which a Bull is summoned and driven to come in spring. About that we must be clear. Plutarch, the first anthropologist, wrote a little treatise called Greek Questions, in which he tells us all the strange out-of-the-way rites and customs he saw in Greece, and then asks himself what they meant. In his 36th Question he asks: “Why do the women of Elis summon Dionysos in their hymns to be present with them with his bull-foot?” And then, by a piece of luck that almost makes one’s heart stand still, he gives us the very words of the little ritual hymn the women sang, our earliest “Bull-driving” Spring Song:

“In Spring-time, O Dionysos,
To thy holy temple come;
To Elis with thy Graces,
Rushing with thy bull-foot, come,
Noble Bull, Noble Bull”.

It is a strange primitive picture – the holy women standing in springtime in front of the temple, summoning the Bull; and the Bull, garlanded and filleted, rushing towards them, driven by the Graces, probably three real women, three Queens of the May, wreathed and flower-bedecked. But what does it mean? [Jane Ellen Harrison, Ancient Art and Ritual, New York, Henry Holt and Company/London,Tthornton Butterworth Ltd, 1913, pp. 83-86]