Antico / Fregi

Nel maggio 1924 Malvina Hoffman dà nel suo studio newyorchese una festa in onore di Anna Pavlova, protagonista del fregio svelato quella sera, dopo dieci anni di lavoro. Composto da venticinque pannelli sui momenti chiave del balletto Automne Bacchanale, il Bacchanal Frieze raffigura la danza sia scomponendone il flusso, sia utilizzando lo sviluppo orizzontale (e temporale) del fregio. Il lavoro era iniziato nel 1914 in collaborazione con la ballerina, che posa e danza facendosi fotografare e disegnare tra una tournée e l’altra, ma il progetto era nato quando la scultrice la aveva vista danzare nel 1910, nel pieno del suo apprendistato parigino con Rodin. Lì aveva imparato non solo a scolpire, ma anche a osservare: i corpi, la vita, il movimento, la danza. In quell’ambiente danzatori e scultori condividono esperienze e visioni, e usano la formula del fregio per ritrovare la sapienza degli antichi e consegnarle il dramma delle figure per metà forgiate nella materia dura da cui fanno emergere i gesti, e per metà libere nell’aria. Fregi di bronzo e pietra, che imprimono nella materia la transitorietà del movimento, e fregi di danza, che assorbono nella presenza reale l’eterna bellezza dell’antica scultura. Nella Parigi di quegli anni questi due piani si intrecciano e si influenzano.

Il 29 maggio 1912 debutta al Théâtre du Châtelet L’Après-midi d’un faune, la scandalosa coreografia di Vaslav Nižinskij dove un fregio di ninfe allineate si anima lentamente rivoluzionando la tecnica della danza. Un testimone d’eccezione, il fotografo Adolf de Meyer, realizza delle immagini del balletto che rielabora secondo i precetti del pittorialismo, il movimento di fotografia artistica. Circa un anno dopo, il 2 aprile 1913, viene inaugurato il Théâtre des Champs-Élysées sulla cui facciata non figurano le consuete statue sporgenti ma un grande fregio al cui centro affiora il dio Apollo raggiunto, nei due blocchi laterali, dalle muse che si slanciano verso di lui. A realizzarlo è Antoine Bourdelle, anche lui allievo di Rodin ma presto autore di uno stile originale, e a ispirarlo è Isadora Duncan, i cui movimenti agitano i corpi e le vesti delle muse del fregio. La sua danza aveva ispirato molti artisti e il suo culto dell’antichità, che la aveva resa una scultura vivente agli occhi dei suoi contemporanei, la aveva portata in Grecia con pellegrinaggi artistici e progetti di scuole al confine tra la rigenerazione dello spirito antico e la formazione di una umanità nuova capace di assumerne la lezione artistica. È in tale sovrapposizione tra cultura antica e rinnovamento della danza che si colloca l’esperienza del suo allievo Vassos Kanellos, che la ha incontrata in Grecia e ha appreso da lei uno sguardo nuovo con cui guardare la sua cultura e le sue origini. Nella grande diffusione di una danza che recupera la lezione reale e ideale degli antichi, questo danzatore greco rivendica un doppio livello di autenticità, di sangue e di filiazione coreutica. La sua compagnia abita e attraversa le vestigia del passato come un’opera d’arte rimessa in vita dalla danza. Lì la fotografa Arnold Genthe, filologo, linguista, grande pioniere della fotografia di danza. [Samantha Marenzi]

 

J’ai vu Madame Isadora Duncan dans sa dernière danse de 1909 au Théâtre du Châtelet.
Là il m’a semblé que, par elle, s’animait une ineffable frise, ou de divines fresques, qui doucement devenaient réalité humaine.
Chaque élan, chaque attitude de la grande artiste sont demeurées, en traits d’éclair dans ma mémoire.
Par le frémissant tracés que je rassemble ici, je souhaite qu’en ce petit rameau de feuilles blanches demeure un peu de son reflet divin. [Émile Antoine Bourdelle, Pensées à propos des danses d’Isadora Duncan, 1912 – Manoscritto conservato presso il Musée Bourdelle – Dossier Rouge]

* * *

Toutes mes muses au théâtre sont des gestes saisis durant l’envol d’Isadora – elle fut là ma principale source. […] Et vous l’avez reconnue, Isadora Duncan, qui plane dans ma frise à côté d’Apollon pensif, dont la lyre a dicté sa danse merveilleuse. [Émile Antoine Bourdelle, Méditations pendant le travail parmi les marbres…, in Écrits sur l’Art et sur la Vie, Arted, Paris 1981, p. 66]

* * *

In passing from the drama to Sculpture we make a great leap. We pass from the living thing, the dance or the play acted by real people, the thing done, whether as ritual or art, […] to the thing made, cast in outside material rigid form, a thing that can be looked at again and again, but the making of which can never actually be re-lived whether by artist or spectator.

Sculptural Art […] comes out of ritual, has ritual as its subject, is embodied ritual. […] Practically the whole of the reliefs that remain to us from the archaic period […] when they do not represent heroic mythology, are ritual reliefs, “votive” reliefs as we call them; that is, prayers or praises translated into stone.

[Jane Ellen Harrison, Ancient art and ritual, Williams and Norgate, London 1913, pp. 170 e 173]

* * *

Il est donc normal […] que la danse apparaisse si souvent dans la peinture et la sculpture de tous les peuples, parce que peinture et sculpture ne sont que des expressions stylisées, comme elle, des symétries apparentes et des cadences confuses qui président à notre vision du monde extérieure et à notre perception du monde intérieur. [Élie Faure, D’Isadora et de la danse, in L’homme et la danse, Pierre Fanlac, Paris 1975 – ed. or. 1934]

 

Sculpture et théâtre: deux arts qui placent le corps au centre, un corps autour duquel se joue la tension entre la pierre et la chair, l’inerte et le vivant, l’immobilité et le mouvement, la mort et la vie. […]
C’est autour de la question du corps que se nouent, pour le théâtre – art qui fait appel au corps vivant de l’acteur, tous les regards portés vers le peuple des statues. Mais c’est aussi par référence au corps vivant que la sculpture développe ses interrogations autour du corps statuaire. Le corps, pour les deux arts, est au centre du questionnement sur leur matériaux respectifs.

Et c’est là toute la difficulté car, occupant le centre, le corps devient un problème à résoudre. Contrairement aux arts plastiques, le théâtre travaille avec du vivant: le corps de l’acteur. Comment défendre l’idée d’un art du théâtre sinon en cherchant les moyens de permettre à l’acteur de faire de son corps un corps d’art? C’est là que va s’inscrire la mise en cause du corps quotidien, du corps de chair et de nerfs, et s’introduire le regard porté vers le modèle du corps sculpté. Tout se passe comme si le rapport corps de chair/corps de pierre s’inversait.

Au sujet de ces grands sculpteurs [grecs], Winckelmann, plutôt que d’animation de la matière et de référence au vivant, parle d’aspiration à la spiritualisation de la matière. C’est d’une capacité à élever la matière au-dessus d’elle même et de la sphère du sensible qu’il les investit. […] Élever la matière et non plus l’animer, le changement de termes est significatif.

Le corps sculpté n’ignore pas le mouvement. Lorsqu’Hegel pose le problème de la représentation des attitudes dans la sculpture, il souligne qu’il s’agit de les représenter en tant que gestes. Des gestes qui figurent la préparation ou le commencement du mouvement, ou bien sa cessation et le retour à l’état de repos. Un mouvement certes arrêté, mais qui prépare, annonce le mouvement à venir ou qui se souvient du mouvement précédent, dont il manque la fin.

[Monique Borie, Corps de pierre, corps de chair. Sculpture et théâtre, Deuxième époque, Montpellier 2017, p. 19, p. 24, p. 36 e p. 61]

Nel maggio 1924 Malvina Hoffman dà nel suo studio newyorchese una festa in onore di Anna Pavlova, protagonista del fregio svelato quella sera, dopo dieci anni di lavoro. Composto da venticinque pannelli sui momenti chiave del balletto Automne Bacchanale, il Bacchanal Frieze raffigura la danza sia scomponendone il flusso, sia utilizzando lo sviluppo orizzontale (e temporale) del fregio. Il lavoro era iniziato nel 1914 in collaborazione con la ballerina, che posa e danza facendosi fotografare e disegnare tra una tournée e l’altra, ma il progetto era nato quando la scultrice la aveva vista danzare nel 1910, nel pieno del suo apprendistato parigino con Rodin. Lì aveva imparato non solo a scolpire, ma anche a osservare: i corpi, la vita, il movimento, la danza. In quell’ambiente danzatori e scultori condividono esperienze e visioni, e usano la formula del fregio per ritrovare la sapienza degli antichi e consegnarle il dramma delle figure per metà forgiate nella materia dura da cui fanno emergere i gesti, e per metà libere nell’aria. Fregi di bronzo e pietra, che imprimono nella materia la transitorietà del movimento, e fregi di danza, che assorbono nella presenza reale l’eterna bellezza dell’antica scultura. Nella Parigi di quegli anni questi due piani si intrecciano e si influenzano.

Il 29 maggio 1912 debutta al Théâtre du Châtelet L’Après-midi d’un faune, la scandalosa coreografia di Vaslav Nižinskij dove un fregio di ninfe allineate si anima lentamente rivoluzionando la tecnica della danza. Un testimone d’eccezione, il fotografo Adolf de Meyer, realizza delle immagini del balletto che rielabora secondo i precetti del pittorialismo, il movimento di fotografia artistica. Circa un anno dopo, il 2 aprile 1913, viene inaugurato il Théâtre des Champs-Élysées sulla cui facciata non figurano le consuete statue sporgenti ma un grande fregio al cui centro affiora il dio Apollo raggiunto, nei due blocchi laterali, dalle muse che si slanciano verso di lui. A realizzarlo è Antoine Bourdelle, anche lui allievo di Rodin ma presto autore di uno stile originale, e a ispirarlo è Isadora Duncan, i cui movimenti agitano i corpi e le vesti delle muse del fregio. La sua danza aveva ispirato molti artisti e il suo culto dell’antichità, che la aveva resa una scultura vivente agli occhi dei suoi contemporanei, la aveva portata in Grecia con pellegrinaggi artistici e progetti di scuole al confine tra la rigenerazione dello spirito antico e la formazione di una umanità nuova capace di assumerne la lezione artistica. È in tale sovrapposizione tra cultura antica e rinnovamento della danza che si colloca l’esperienza del suo allievo Vassos Kanellos, che la ha incontrata in Grecia e ha appreso da lei uno sguardo nuovo con cui guardare la sua cultura e le sue origini. Nella grande diffusione di una danza che recupera la lezione reale e ideale degli antichi, questo danzatore greco rivendica un doppio livello di autenticità, di sangue e di filiazione coreutica. La sua compagnia abita e attraversa le vestigia del passato come un’opera d’arte rimessa in vita dalla danza. Lì la fotografa Arnold Genthe, filologo, linguista, grande pioniere della fotografia di danza. [Samantha Marenzi]

 

J’ai vu Madame Isadora Duncan dans sa dernière danse de 1909 au Théâtre du Châtelet.
Là il m’a semblé que, par elle, s’animait une ineffable frise, ou de divines fresques, qui doucement devenaient réalité humaine.
Chaque élan, chaque attitude de la grande artiste sont demeurées, en traits d’éclair dans ma mémoire.
Par le frémissant tracés que je rassemble ici, je souhaite qu’en ce petit rameau de feuilles blanches demeure un peu de son reflet divin. [Émile Antoine Bourdelle, Pensées à propos des danses d’Isadora Duncan, 1912 – Manoscritto conservato presso il Musée Bourdelle – Dossier Rouge]

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Toutes mes muses au théâtre sont des gestes saisis durant l’envol d’Isadora – elle fut là ma principale source. […] Et vous l’avez reconnue, Isadora Duncan, qui plane dans ma frise à côté d’Apollon pensif, dont la lyre a dicté sa danse merveilleuse. [Émile Antoine Bourdelle, Méditations pendant le travail parmi les marbres…, in Écrits sur l’Art et sur la Vie, Arted, Paris 1981, p. 66]

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In passing from the drama to Sculpture we make a great leap. We pass from the living thing, the dance or the play acted by real people, the thing done, whether as ritual or art, […] to the thing made, cast in outside material rigid form, a thing that can be looked at again and again, but the making of which can never actually be re-lived whether by artist or spectator.

Sculptural Art […] comes out of ritual, has ritual as its subject, is embodied ritual. […] Practically the whole of the reliefs that remain to us from the archaic period […] when they do not represent heroic mythology, are ritual reliefs, “votive” reliefs as we call them; that is, prayers or praises translated into stone.

[Jane Ellen Harrison, Ancient art and ritual, Williams and Norgate, London 1913, pp. 170 e 173]

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Il est donc normal […] que la danse apparaisse si souvent dans la peinture et la sculpture de tous les peuples, parce que peinture et sculpture ne sont que des expressions stylisées, comme elle, des symétries apparentes et des cadences confuses qui président à notre vision du monde extérieure et à notre perception du monde intérieur. [Élie Faure, D’Isadora et de la danse, in L’homme et la danse, Pierre Fanlac, Paris 1975 – ed. or. 1934]

 

Sculpture et théâtre: deux arts qui placent le corps au centre, un corps autour duquel se joue la tension entre la pierre et la chair, l’inerte et le vivant, l’immobilité et le mouvement, la mort et la vie. […]
C’est autour de la question du corps que se nouent, pour le théâtre – art qui fait appel au corps vivant de l’acteur, tous les regards portés vers le peuple des statues. Mais c’est aussi par référence au corps vivant que la sculpture développe ses interrogations autour du corps statuaire. Le corps, pour les deux arts, est au centre du questionnement sur leur matériaux respectifs.

Et c’est là toute la difficulté car, occupant le centre, le corps devient un problème à résoudre. Contrairement aux arts plastiques, le théâtre travaille avec du vivant: le corps de l’acteur. Comment défendre l’idée d’un art du théâtre sinon en cherchant les moyens de permettre à l’acteur de faire de son corps un corps d’art? C’est là que va s’inscrire la mise en cause du corps quotidien, du corps de chair et de nerfs, et s’introduire le regard porté vers le modèle du corps sculpté. Tout se passe comme si le rapport corps de chair/corps de pierre s’inversait.

Au sujet de ces grands sculpteurs [grecs], Winckelmann, plutôt que d’animation de la matière et de référence au vivant, parle d’aspiration à la spiritualisation de la matière. C’est d’une capacité à élever la matière au-dessus d’elle même et de la sphère du sensible qu’il les investit. […] Élever la matière et non plus l’animer, le changement de termes est significatif.

Le corps sculpté n’ignore pas le mouvement. Lorsqu’Hegel pose le problème de la représentation des attitudes dans la sculpture, il souligne qu’il s’agit de les représenter en tant que gestes. Des gestes qui figurent la préparation ou le commencement du mouvement, ou bien sa cessation et le retour à l’état de repos. Un mouvement certes arrêté, mais qui prépare, annonce le mouvement à venir ou qui se souvient du mouvement précédent, dont il manque la fin.

[Monique Borie, Corps de pierre, corps de chair. Sculpture et théâtre, Deuxième époque, Montpellier 2017, p. 19, p. 24, p. 36 e p. 61]