Grazie / Rinascimento

Come molte formule provenienti dall’antichità, il motivo delle Grazie conosce nuova fortuna e inattese trasformazioni durante il Rinascimento, sia dal punto di vista formale che filosofico e simbolico. È un motivo che partecipa alla generale riscoperta di opere letterarie e plastiche dissotterrate dopo il lungo oblio del paganesimo antico, e che si colloca nel diffuso recupero di concetti, idee e valori e nella conseguente tensione culturale generata da tale ripresa nel mondo cristiano.

Le Tre Grazie appaiono in diverse zone della cultura del Rinascimento: nella trattatistica (Leon Battista Alberti che ne descrive i significati nelle raffigurazioni che le vedono nude o vestite), nella produzione filosofica (in particolare di area neoplatonica), e nei quadri.

La versione più diffusa, e soprattutto quella che esercita una maggiore influenza sugli osservatori che la riscoprono tra Otto e Novecento, è quella che ne fa Sandro Botticelli inserendo le Tre Grazie nel celebre quadro dedicato alla Primavera. Le tre giovani in cerchio intrecciano le mani sopra le teste e mostrano, attraverso le vesti leggere, la dinamica circolare del loro movimento. I ventri prominenti e i volti calmi, le giovani sembrano impegnate in una carola e allo stesso tempo immerse in una azione che auspica alla fertilità e al trionfo dell’amore.

Le Grazie partecipano alla trasformazione delle divinità in astri e pianeti a cui danno il nome e che continuano, anche in un diverso credo religioso, a esercitare la loro influenza sulla vita terrena. Partecipano alla creazione di una immagine e di una concezione del mondo che prende forma nello stesso ambiente di artisti, mecenati e intellettuali di cui fa parte Botticelli, il quale dedica un ciclo di quadri a temi mitologici e pagani e, in altre opere della sua produzione, associa tra loro figure provenienti da universi culturali diversi.

Il dipinto sulla Primavera, a lungo dimenticato nei secoli successivi alla sua realizzazione, è oggetto di un grande interesse estetico e scientifico a cavallo tra Otto e Novecento. Se per gli studiosi diventa un campo di indagine e di nuove interpretazioni, per molti artisti – non solo visivi – costituisce un vero oggetto di culto. Diverse danzatrici di inizio secolo, ad esempio, raccontano di una visita a Firenze come di un pellegrinaggio, e della visione del capolavoro come di una rivelazione. Le trasformazioni raffigurate che portano il flusso del tempo nell’immagine fissa attraggono le pioniere della nuova danza che recepiscono la forza dell’Antico anche attraverso la sua riemersione nel Rinascimento, che ne trasforma i segni e li inserisce nella grande reinvenzione dell’arte, della scienza e della cultura. Il modo in cui le tuniche avvolgono i corpi delle Tre Grazie nel dipinto botticelliano diventa il modello diffuso dei costumi di scena leggeri, trasparenti, intrecciati attorno al seno e stretti sui fianchi. Il cerchio (magico, espressivo e comunitario) un modello coreografico.

Nella danza di inizio Novecento, e in particolare nella sua alleanza con la fotografia che ne coglie gesti, posture e movimenti salienti, il cerchio delle Grazie esaspera lo slancio delle figure botticelliane e lo trasforma in salto, aggiungendo all’antica formula la vitalità e la dinamica moderne. Danzatrici appartenenti a diverse tecniche e poetiche della danza, dalla ritmica dalcroziana alla danza libera di impronta duncaninana, vengono immortalate da fotografi esperiti in vari generi (fotografia di archeologia, ritratto, paesaggio) nel salto in cerchio, avvolte in tuniche incrociate al seno. Le immagini che le riprendono dialogano con le loro matrici e formano un nuovo strato e una ulteriore variazione sul tema. [Samantha Marenzi]

 

 

La placida immagine delle Tre Grazie dette appiglio a una teoria di notevole tortuosità. Nessun altro gruppo antico, forse, ha così tenacemente attratto l’immaginazione allegorica, o è servito altrettanto bene a nascondere e conservare, come un vaso dall’aspetto innocente, una qualche pericolosa alchimia della mente. […]
«Perché le Grazie siano tre, perché siano sorelle, perché esse si tengano allacciate per mano» viene spiegato nel De benificiis attraverso il triplice ritmo della generosità, il quale consiste nel dare, nell’accettare e nel restituire. Poiché gratias agere significa «rendere grazie», i tre momenti devono essere intrecciati in una danza, come lo sono appunto le Grazie (ille consertis manibus in se redeuntium chorus); perché «l’ordine del beneficio richiede che esso sia elargito con la mano, ma che ritorni al donatore», e anche se «vi è una più alta dignità in colui che dà», il circolo non deve essere mai interrotto. [Edgar Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Milano,Adelphi, 1971 e successive edizioni, pp. 33-35:34 (ed. or. London, Faber & Faber, 1958)]

 

* * *


 

Il tema che introduce i sei punti della danza è l’armonia che, attraverso l’udito, giunge al cuore che commuove facendone nascere il desiderio di danzare. L’opera [Guglielmo Ebreo, De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum o Il trattato dell’arte del Ballo, 1463], stesa all’inizio della seconda metà del Quattrocento, attinge chiaramente alle concezioni filosofiche ed estetiche del primo trentennio del secolo, quando l’armonia sembra diventare l’aspetto dominante dell’universo. […]
Contemporaneamente a un revival delle Muse, ma anche e soprattutto delle Grazie, che nell’accezione filosofica ripresa da Seneca rimandano allo svolgimento armonico delle leggi naturali, risolventesi nella triadica concezione di ratio, remeatio, congregatio.
Proprio nel Quattrocento si impone l’iconografia delle Grazie, come simbolo di un accordo che affiora da scritti diversi, ma che è elemento unificante di una immagine di concordia universale. Se ne colgono gli echi così negli scritti del Ficino e di Pico della Mirandola, così nelle opere di Poliziano, certamente con ritmi diversi, ma con una identica volontà di sottolineare questo afflato universale. I trattati della danza non sembra siano estranei a questo modo di intendere tale ‘respiro’ una armonia che genera internamente un grande ardore da cui nasce il desiderio di ballare […]. [Patrizia Castelli, Il moto aristotelico e la ‘licita scientia’. Guglielmo Ebreo e la speculazione sulla danza nel XV secolo, in Mesura et arte del danzare. Guglielmo Ebreo da Pesaro e la danza nelle corti italiane del XV secolo, (cat. esp.) a cura di Patrizia Castelli, Maurizio Mingardi, Maurizio Padovan, Pesaro, Musei Civici, 1987, pp. 35-37: 36]

At that time it was Botticelli who attracted my youthful imagination. I sat for days before the Primavera, the famous painting of Botticelli. Inspired by this picture, I created a dance in which I endeavoured to realise the soft and marvellous movements emanating from it; the soft undulation of the flower-covered earth, the circle of nymphs and the flight of the Zephyrs, all assembling about the central figure, half Aphrodite, half Madonna, who indicates the procreation of spring in one significant gesture. I sat for hours before this picture. I was enamoured of it. [Isadora Duncan, My life, New York, Boni and Liveright, 1927, p. 113]

Ho appena parlato di personaggi in costume, di cavalcate lungo le vie di Firenze, di cortei del maggio fiorentino, di riti. Vi è qui tutto un aspetto della vita del XV secolo il quale, nel momento in cui studiamo i capolavori di quell’epoca, ci rimane completamente estraneo. Abbiamo la tendenza a considerare i capolavori come una sorta di meravigliose improvvisazioni individuali. In un certo senso, è come se, producendo troppe spiegazioni, temessimo di sciuparli. [Pierre Francastel, Guardare il teatro, Bologna, il Mulino, 1987, p. 94]

 

* * *


 

Le tre Grazie sono Giove, Sole e Venere. Giove è la Grazia intermedia fra le altre due ed è commisurata a noi in massimo grado. [Marsilio Ficino, Sulla Vita, Libro III, a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Milano, Rusconi, 1995, p. 202]

Lauro e Venus sono coreografie regolate da una sorta di ermetismo numerologico, geometrico e magico, analogo a quello che informa la pittura del Botticelli. Il tema trinitario delle Grazie, tornato  in auge con la letteratura filosofica neoplatonica e in particolare con gli scritti di Ficino, trova nella bassadanza Venus una coerente rappresentazione dinamica dell’armonia e dell’amore. Cosa meglio di una danza, infatti, può rappresentare le verità sottese all’allegoria? Per Ficino nel De Amore tre sono le grazie – Ficino chiama grazie tutte le triadi presenti nei vari livelli del reale – Pulchritudo, Amor e Voluptas, ancelle di Venere, portatrice del vincolo che tiene unito il mondo. Non sarà, quindi, strano ritrovare alcuni degli aspetti dell’impianto teorico di Guglielmo [Ebreo] anche tra le righe del De vita, opera di medicina, filosofia e astrologia tra le più originali del Figlinese. [Alessandro Pontremoli, Danza e Rinascimento. Cultura coreutica e “buone maniere” nella società di corte del XV secolo, Macerata, Ephemeria Editrice, 2011, p. 66]

Nel suo articolo Icones symbolicae, E. H. Gombrich ha analizzato il modo di pensare, tanto difficile da comprendere ai nostri giorni, del neoplatonico rinascimentale, per il quale un’immagine «antica», pervenutagli come retaggio di una tradizione a suo giudizio lontanissima nel tempo, conteneva realmente in sé il riflesso di un’Idea. […] In questa prospettiva si può comprendere la concezione ficiniana delle immagini stellari che deriverebbero, secondo lui, dai «platonici più antichi», per quanto, in questo caso la relazione fra immagine e Idea sia ancor più stretta, grazie alla cosmologia imperniata sulla mens, sull’anima mundi, e sul corpus mundi, nell’ambito della quale le immagini hanno una loro collocazione precisa. [Frances A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Roma-Bari 2010 (ed. or. 1985) p. 73]

 

Come molte formule provenienti dall’antichità, il motivo delle Grazie conosce nuova fortuna e inattese trasformazioni durante il Rinascimento, sia dal punto di vista formale che filosofico e simbolico. È un motivo che partecipa alla generale riscoperta di opere letterarie e plastiche dissotterrate dopo il lungo oblio del paganesimo antico, e che si colloca nel diffuso recupero di concetti, idee e valori e nella conseguente tensione culturale generata da tale ripresa nel mondo cristiano.

Le Tre Grazie appaiono in diverse zone della cultura del Rinascimento: nella trattatistica (Leon Battista Alberti che ne descrive i significati nelle raffigurazioni che le vedono nude o vestite), nella produzione filosofica (in particolare di area neoplatonica), e nei quadri.

La versione più diffusa, e soprattutto quella che esercita una maggiore influenza sugli osservatori che la riscoprono tra Otto e Novecento, è quella che ne fa Sandro Botticelli inserendo le Tre Grazie nel celebre quadro dedicato alla Primavera. Le tre giovani in cerchio intrecciano le mani sopra le teste e mostrano, attraverso le vesti leggere, la dinamica circolare del loro movimento. I ventri prominenti e i volti calmi, le giovani sembrano impegnate in una carola e allo stesso tempo immerse in una azione che auspica alla fertilità e al trionfo dell’amore.

Le Grazie partecipano alla trasformazione delle divinità in astri e pianeti a cui danno il nome e che continuano, anche in un diverso credo religioso, a esercitare la loro influenza sulla vita terrena. Partecipano alla creazione di una immagine e di una concezione del mondo che prende forma nello stesso ambiente di artisti, mecenati e intellettuali di cui fa parte Botticelli, il quale dedica un ciclo di quadri a temi mitologici e pagani e, in altre opere della sua produzione, associa tra loro figure provenienti da universi culturali diversi.

Il dipinto sulla Primavera, a lungo dimenticato nei secoli successivi alla sua realizzazione, è oggetto di un grande interesse estetico e scientifico a cavallo tra Otto e Novecento. Se per gli studiosi diventa un campo di indagine e di nuove interpretazioni, per molti artisti – non solo visivi – costituisce un vero oggetto di culto. Diverse danzatrici di inizio secolo, ad esempio, raccontano di una visita a Firenze come di un pellegrinaggio, e della visione del capolavoro come di una rivelazione. Le trasformazioni raffigurate che portano il flusso del tempo nell’immagine fissa attraggono le pioniere della nuova danza che recepiscono la forza dell’Antico anche attraverso la sua riemersione nel Rinascimento, che ne trasforma i segni e li inserisce nella grande reinvenzione dell’arte, della scienza e della cultura. Il modo in cui le tuniche avvolgono i corpi delle Tre Grazie nel dipinto botticelliano diventa il modello diffuso dei costumi di scena leggeri, trasparenti, intrecciati attorno al seno e stretti sui fianchi. Il cerchio (magico, espressivo e comunitario) un modello coreografico.

Nella danza di inizio Novecento, e in particolare nella sua alleanza con la fotografia che ne coglie gesti, posture e movimenti salienti, il cerchio delle Grazie esaspera lo slancio delle figure botticelliane e lo trasforma in salto, aggiungendo all’antica formula la vitalità e la dinamica moderne. Danzatrici appartenenti a diverse tecniche e poetiche della danza, dalla ritmica dalcroziana alla danza libera di impronta duncaninana, vengono immortalate da fotografi esperiti in vari generi (fotografia di archeologia, ritratto, paesaggio) nel salto in cerchio, avvolte in tuniche incrociate al seno. Le immagini che le riprendono dialogano con le loro matrici e formano un nuovo strato e una ulteriore variazione sul tema. [Samantha Marenzi]

 

 

La placida immagine delle Tre Grazie dette appiglio a una teoria di notevole tortuosità. Nessun altro gruppo antico, forse, ha così tenacemente attratto l’immaginazione allegorica, o è servito altrettanto bene a nascondere e conservare, come un vaso dall’aspetto innocente, una qualche pericolosa alchimia della mente. […]
«Perché le Grazie siano tre, perché siano sorelle, perché esse si tengano allacciate per mano» viene spiegato nel De benificiis attraverso il triplice ritmo della generosità, il quale consiste nel dare, nell’accettare e nel restituire. Poiché gratias agere significa «rendere grazie», i tre momenti devono essere intrecciati in una danza, come lo sono appunto le Grazie (ille consertis manibus in se redeuntium chorus); perché «l’ordine del beneficio richiede che esso sia elargito con la mano, ma che ritorni al donatore», e anche se «vi è una più alta dignità in colui che dà», il circolo non deve essere mai interrotto. [Edgar Wind, Misteri pagani nel Rinascimento, Milano,Adelphi, 1971 e successive edizioni, pp. 33-35:34 (ed. or. London, Faber & Faber, 1958)]

 

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Il tema che introduce i sei punti della danza è l’armonia che, attraverso l’udito, giunge al cuore che commuove facendone nascere il desiderio di danzare. L’opera [Guglielmo Ebreo, De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum o Il trattato dell’arte del Ballo, 1463], stesa all’inizio della seconda metà del Quattrocento, attinge chiaramente alle concezioni filosofiche ed estetiche del primo trentennio del secolo, quando l’armonia sembra diventare l’aspetto dominante dell’universo. […]
Contemporaneamente a un revival delle Muse, ma anche e soprattutto delle Grazie, che nell’accezione filosofica ripresa da Seneca rimandano allo svolgimento armonico delle leggi naturali, risolventesi nella triadica concezione di ratio, remeatio, congregatio.
Proprio nel Quattrocento si impone l’iconografia delle Grazie, come simbolo di un accordo che affiora da scritti diversi, ma che è elemento unificante di una immagine di concordia universale. Se ne colgono gli echi così negli scritti del Ficino e di Pico della Mirandola, così nelle opere di Poliziano, certamente con ritmi diversi, ma con una identica volontà di sottolineare questo afflato universale. I trattati della danza non sembra siano estranei a questo modo di intendere tale ‘respiro’ una armonia che genera internamente un grande ardore da cui nasce il desiderio di ballare […]. [Patrizia Castelli, Il moto aristotelico e la ‘licita scientia’. Guglielmo Ebreo e la speculazione sulla danza nel XV secolo, in Mesura et arte del danzare. Guglielmo Ebreo da Pesaro e la danza nelle corti italiane del XV secolo, (cat. esp.) a cura di Patrizia Castelli, Maurizio Mingardi, Maurizio Padovan, Pesaro, Musei Civici, 1987, pp. 35-37: 36]

At that time it was Botticelli who attracted my youthful imagination. I sat for days before the Primavera, the famous painting of Botticelli. Inspired by this picture, I created a dance in which I endeavoured to realise the soft and marvellous movements emanating from it; the soft undulation of the flower-covered earth, the circle of nymphs and the flight of the Zephyrs, all assembling about the central figure, half Aphrodite, half Madonna, who indicates the procreation of spring in one significant gesture. I sat for hours before this picture. I was enamoured of it. [Isadora Duncan, My life, New York, Boni and Liveright, 1927, p. 113]

Ho appena parlato di personaggi in costume, di cavalcate lungo le vie di Firenze, di cortei del maggio fiorentino, di riti. Vi è qui tutto un aspetto della vita del XV secolo il quale, nel momento in cui studiamo i capolavori di quell’epoca, ci rimane completamente estraneo. Abbiamo la tendenza a considerare i capolavori come una sorta di meravigliose improvvisazioni individuali. In un certo senso, è come se, producendo troppe spiegazioni, temessimo di sciuparli. [Pierre Francastel, Guardare il teatro, Bologna, il Mulino, 1987, p. 94]

 

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Le tre Grazie sono Giove, Sole e Venere. Giove è la Grazia intermedia fra le altre due ed è commisurata a noi in massimo grado. [Marsilio Ficino, Sulla Vita, Libro III, a cura di Alessandra Tarabochia Canavero, Milano, Rusconi, 1995, p. 202]

Lauro e Venus sono coreografie regolate da una sorta di ermetismo numerologico, geometrico e magico, analogo a quello che informa la pittura del Botticelli. Il tema trinitario delle Grazie, tornato  in auge con la letteratura filosofica neoplatonica e in particolare con gli scritti di Ficino, trova nella bassadanza Venus una coerente rappresentazione dinamica dell’armonia e dell’amore. Cosa meglio di una danza, infatti, può rappresentare le verità sottese all’allegoria? Per Ficino nel De Amore tre sono le grazie – Ficino chiama grazie tutte le triadi presenti nei vari livelli del reale – Pulchritudo, Amor e Voluptas, ancelle di Venere, portatrice del vincolo che tiene unito il mondo. Non sarà, quindi, strano ritrovare alcuni degli aspetti dell’impianto teorico di Guglielmo [Ebreo] anche tra le righe del De vita, opera di medicina, filosofia e astrologia tra le più originali del Figlinese. [Alessandro Pontremoli, Danza e Rinascimento. Cultura coreutica e “buone maniere” nella società di corte del XV secolo, Macerata, Ephemeria Editrice, 2011, p. 66]

Nel suo articolo Icones symbolicae, E. H. Gombrich ha analizzato il modo di pensare, tanto difficile da comprendere ai nostri giorni, del neoplatonico rinascimentale, per il quale un’immagine «antica», pervenutagli come retaggio di una tradizione a suo giudizio lontanissima nel tempo, conteneva realmente in sé il riflesso di un’Idea. […] In questa prospettiva si può comprendere la concezione ficiniana delle immagini stellari che deriverebbero, secondo lui, dai «platonici più antichi», per quanto, in questo caso la relazione fra immagine e Idea sia ancor più stretta, grazie alla cosmologia imperniata sulla mens, sull’anima mundi, e sul corpus mundi, nell’ambito della quale le immagini hanno una loro collocazione precisa. [Frances A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Roma-Bari 2010 (ed. or. 1985) p. 73]