Nudo / Interno

La fotografia di nudo allestita in studio o in interno attraversa da sempre la storia della fotografia. Le immagini raccolte in questo pannello – realizzate nell’arco degli anni Venti – provano a evocare, seppur nella vastità del tema, una specifica ricerca che potrebbe sintetizzarsi nella seguente domanda: quando i corpi nudi danzano, la fotografia come li distingue? Anche in questo caso la provenienza geografica dei fotografi coinvolti è eterogenea. Stati Uniti, Austria e Repubblica Ceca, con influenze ascrivibili, specialmente negli ultimi due casi, all’intera area mitteleuropea di quegli anni. Sostrati culturali, come il Nacktkultur germanico, si mescolano all’attenzione per il modernismo europeo e d’oltre oceano, mentre le nuove ricerche fotografiche modificano il modo di guardare la danza.

Trude Fleischmann (Vienna 1895 – Brewster 1990) ritrae le danzatrici Claire Bauroff e Mila Cirul – corpi luminosi e sospesi, a stento riconoscibili – fluttuare sospese dal contesto allestitivo e stagliare con gambe e braccia, nell’oscurità della sala, linee rette o morbide curve. Posizioni di danza, decontestualizzate dal palco o da una sala di prova, agite e subito immobilizzate per catturare l’intenzione del movimento e riprodurla all’infinito negli occhi dello spettatore. František Drtikol (Příbram 1883 – Praga 1961), fin dall’inizio della sua carriera, trae dall’ambiente simbolista e Art Nouveau stimoli evidenti sul piano decorativo e formale. Dopo aver fotografato la danzatrice Olga Gzovska nei panni di Salomè e l’allieva di Dalcroze Ervina Küpferova, sua compagna fino al 1926, decide di cambiare passo. Niente più danzatrici, ma modelle nude che saltano, si stendono e ritraggono in una scenografia di forme geometriche in cartone, enfatizzate da luci taglienti e verticali. La spinta e l’energia dei salti le distinguono dalle danzatrici di Fleischmann per una scoperta tensione tra corpo e ambiente che liquida qualsiasi grado di intenzionalità. Il corpo è drammatizzato e pronto a una forza di scarico tutta verso l’esterno, simula le forme e a volte vi rimane intrappolato. Non è estraneo a un contesto che al contrario sfida di continuo, in una battaglia di luci e di ombre. La decontestualizzazione dei corpi, come asserisce Karl Eric Toepfer nel testo citato in pannello, implica che quanto più il corpo sarà nudo, e tanto più in esso, o attraverso di esso, dominerà lo stato percettivo, tanto più finirà per assumere un’identità astratta. Dalla stessa eredità visiva proviene Rudolf Koppitz (Schreiberseifen 1884 – Perchtoldsdorf 1936), che nei suoi Bewegungsstudie del 1924 fissa in immagine la trazione di un movimento di gruppo e la intensifica con un omaggio al simbolismo pittorico tardo ottocentesco. In Dance, Photography, and the World’s Body, Roger Copeland analizza il rapporto tra danza e fotografia a partire da quello tra identificazione e percezione del soggetto fotografato. Il modo in cui la fotografia preleva, riproduce e mantiene tracce del mondo materiale da cui prende forma ha a che fare con la danza esattamente in questa misura conservativa e insieme trasformativa: entrambe convivono con il realismo dei corpi tanto quanto con l’irrealtà, essendo estranee al mondo della parola. Intorno al tema dell’autenticità della fotografia di danza si interroga Matthew Reason in Still Moving: The Revelation or Representation of Dance in Still Photography, il quale, individuati limiti e aspettative nel tentativo di voler estendere con il mezzo fotografico la riproduzione meccanica dei corpi in movimento, rintraccia in questa tensione la potenziale messa in discussione del concetto stesso di movimento. Di nuovo, Karl Eric Toepfer, a questo proposito pone una questione semplice ma cruciale, la stessa in un certo senso da cui siamo partiti. Dove si svolge la danza nuda, e per chi? Appare, ai nostri occhi, come una visione, solo quando il corpo dell’esecutore si conforma a un’immagine normativa di bellezza? Quanto la condizione materiale del corpo e, soprattutto, la percezione di tale condizione, ci permette di dire che in una immagine si sta danzando? [Francesca Pietrisanti]

 

Where does nude dancing take place, and for whom? If nude dancing inevitably objectifies erotic desire, to what extent does objectification fulfill such desire for either the performer or the spectator? […] In other words, does nude dancing occur only when the body of the performer conforms to a spectator-determined, normative image of beauty that does not provoke a strong tension between the erotic desire of the performer and that of the spectator? What relations between body, dancelike (aesthetic) movement, and erotic desire are “exposed” by nude dancing? In one of the ecstatic 1922 letters to dancer Niddy Impekoven, Fred Hildenbrandt stated flatly what the vast majority of dance photo imagery merely implied: a dance is beautiful because the dancer is beautiful […]

Drtikol did not use dancers as models, yet the women moved like dancers insofar as their movements projected no functional value, existing entirely to signify an inner condition of freedom and power. […] More than any other dance imagery of the era, Drtikol’s photography dramatized the controlling impulse of Ausdruckstanz: that the body was the vortical source of power in achieving a synthesis of mysticism and modernity and that in this synthesis ecstasy became reality in an expanding tech-norational culture. The body, with its seemingly infinite inner conditions of desire and energy, established the limits of both abstraction and materialism. As an abstract concept, the new dance signified the most powerful (and therefore ecstatic) claim of the body, fusing mystical transcendence of material illusions and modern fearlessness in looking at human identity with optimum nakedness and materiality. [Karl Eric Toepfer, Empire of Ecstasy: Nudity and Movement in German Body Culture, 1910-1935, University of California Press, Berkeley 1997, pp. 43, 380-382]

 

However, if the documentary importance of photography to dance cannot be deied, neither can the transformative effects of the camera, for the still photograph inevitably, if mechanically, reproduces dance without motion. Here the expectations and limitations of photographic authenticity meet, for although we expect the camera to reproduce dance faithfully, the inherent stillness of the medium limits the extent of that reproduction. […] The still image cannot reproduce movement and attempts to do so are instead evident transformations; it is in our ability to relate this transformation back to our concept of movement that the still photograph has its power. [Matthew Reason, Still Moving: The Revelation or Representation of Dance in Still Photography, «Dance Research Journal», Vol. 35/36, Vol. 35, no. 2 – Vol. 36, no. 1 (Winter, 2003 – Summer, 2004), pp. 48-50]

* * *

Dance, as we’ve seen, can never completely lose touch with the human form (as John Martin once wrote, “…no movement can be made by the human body which is wholly non-representational”); and likewise, photography invariably reveals some aspect of the material world. But at the same time, neither dance nor photography are in any danger of lapsing into a naive, regressive “realism”. Dance is inherently “unrealistic” to the extent that the human figure is estranged from the world of speech. [Roger Copeland, Dance, Photography, and the World’s Body, «Performing Arts Journal», Vol. 6, No. 1, 1981, pp. 94-95]

La fotografia di nudo allestita in studio o in interno attraversa da sempre la storia della fotografia. Le immagini raccolte in questo pannello – realizzate nell’arco degli anni Venti – provano a evocare, seppur nella vastità del tema, una specifica ricerca che potrebbe sintetizzarsi nella seguente domanda: quando i corpi nudi danzano, la fotografia come li distingue? Anche in questo caso la provenienza geografica dei fotografi coinvolti è eterogenea. Stati Uniti, Austria e Repubblica Ceca, con influenze ascrivibili, specialmente negli ultimi due casi, all’intera area mitteleuropea di quegli anni. Sostrati culturali, come il Nacktkultur germanico, si mescolano all’attenzione per il modernismo europeo e d’oltre oceano, mentre le nuove ricerche fotografiche modificano il modo di guardare la danza.

Trude Fleischmann (Vienna 1895 – Brewster 1990) ritrae le danzatrici Claire Bauroff e Mila Cirul – corpi luminosi e sospesi, a stento riconoscibili – fluttuare sospese dal contesto allestitivo e stagliare con gambe e braccia, nell’oscurità della sala, linee rette o morbide curve. Posizioni di danza, decontestualizzate dal palco o da una sala di prova, agite e subito immobilizzate per catturare l’intenzione del movimento e riprodurla all’infinito negli occhi dello spettatore. František Drtikol (Příbram 1883 – Praga 1961), fin dall’inizio della sua carriera, trae dall’ambiente simbolista e Art Nouveau stimoli evidenti sul piano decorativo e formale. Dopo aver fotografato la danzatrice Olga Gzovska nei panni di Salomè e l’allieva di Dalcroze Ervina Küpferova, sua compagna fino al 1926, decide di cambiare passo. Niente più danzatrici, ma modelle nude che saltano, si stendono e ritraggono in una scenografia di forme geometriche in cartone, enfatizzate da luci taglienti e verticali. La spinta e l’energia dei salti le distinguono dalle danzatrici di Fleischmann per una scoperta tensione tra corpo e ambiente che liquida qualsiasi grado di intenzionalità. Il corpo è drammatizzato e pronto a una forza di scarico tutta verso l’esterno, simula le forme e a volte vi rimane intrappolato. Non è estraneo a un contesto che al contrario sfida di continuo, in una battaglia di luci e di ombre. La decontestualizzazione dei corpi, come asserisce Karl Eric Toepfer nel testo citato in pannello, implica che quanto più il corpo sarà nudo, e tanto più in esso, o attraverso di esso, dominerà lo stato percettivo, tanto più finirà per assumere un’identità astratta. Dalla stessa eredità visiva proviene Rudolf Koppitz (Schreiberseifen 1884 – Perchtoldsdorf 1936), che nei suoi Bewegungsstudie del 1924 fissa in immagine la trazione di un movimento di gruppo e la intensifica con un omaggio al simbolismo pittorico tardo ottocentesco. In Dance, Photography, and the World’s Body, Roger Copeland analizza il rapporto tra danza e fotografia a partire da quello tra identificazione e percezione del soggetto fotografato. Il modo in cui la fotografia preleva, riproduce e mantiene tracce del mondo materiale da cui prende forma ha a che fare con la danza esattamente in questa misura conservativa e insieme trasformativa: entrambe convivono con il realismo dei corpi tanto quanto con l’irrealtà, essendo estranee al mondo della parola. Intorno al tema dell’autenticità della fotografia di danza si interroga Matthew Reason in Still Moving: The Revelation or Representation of Dance in Still Photography, il quale, individuati limiti e aspettative nel tentativo di voler estendere con il mezzo fotografico la riproduzione meccanica dei corpi in movimento, rintraccia in questa tensione la potenziale messa in discussione del concetto stesso di movimento. Di nuovo, Karl Eric Toepfer, a questo proposito pone una questione semplice ma cruciale, la stessa in un certo senso da cui siamo partiti. Dove si svolge la danza nuda, e per chi? Appare, ai nostri occhi, come una visione, solo quando il corpo dell’esecutore si conforma a un’immagine normativa di bellezza? Quanto la condizione materiale del corpo e, soprattutto, la percezione di tale condizione, ci permette di dire che in una immagine si sta danzando? [Francesca Pietrisanti]

 

Where does nude dancing take place, and for whom? If nude dancing inevitably objectifies erotic desire, to what extent does objectification fulfill such desire for either the performer or the spectator? […] In other words, does nude dancing occur only when the body of the performer conforms to a spectator-determined, normative image of beauty that does not provoke a strong tension between the erotic desire of the performer and that of the spectator? What relations between body, dancelike (aesthetic) movement, and erotic desire are “exposed” by nude dancing? In one of the ecstatic 1922 letters to dancer Niddy Impekoven, Fred Hildenbrandt stated flatly what the vast majority of dance photo imagery merely implied: a dance is beautiful because the dancer is beautiful […]

Drtikol did not use dancers as models, yet the women moved like dancers insofar as their movements projected no functional value, existing entirely to signify an inner condition of freedom and power. […] More than any other dance imagery of the era, Drtikol’s photography dramatized the controlling impulse of Ausdruckstanz: that the body was the vortical source of power in achieving a synthesis of mysticism and modernity and that in this synthesis ecstasy became reality in an expanding tech-norational culture. The body, with its seemingly infinite inner conditions of desire and energy, established the limits of both abstraction and materialism. As an abstract concept, the new dance signified the most powerful (and therefore ecstatic) claim of the body, fusing mystical transcendence of material illusions and modern fearlessness in looking at human identity with optimum nakedness and materiality. [Karl Eric Toepfer, Empire of Ecstasy: Nudity and Movement in German Body Culture, 1910-1935, University of California Press, Berkeley 1997, pp. 43, 380-382]

 

However, if the documentary importance of photography to dance cannot be deied, neither can the transformative effects of the camera, for the still photograph inevitably, if mechanically, reproduces dance without motion. Here the expectations and limitations of photographic authenticity meet, for although we expect the camera to reproduce dance faithfully, the inherent stillness of the medium limits the extent of that reproduction. […] The still image cannot reproduce movement and attempts to do so are instead evident transformations; it is in our ability to relate this transformation back to our concept of movement that the still photograph has its power. [Matthew Reason, Still Moving: The Revelation or Representation of Dance in Still Photography, «Dance Research Journal», Vol. 35/36, Vol. 35, no. 2 – Vol. 36, no. 1 (Winter, 2003 – Summer, 2004), pp. 48-50]

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Dance, as we’ve seen, can never completely lose touch with the human form (as John Martin once wrote, “…no movement can be made by the human body which is wholly non-representational”); and likewise, photography invariably reveals some aspect of the material world. But at the same time, neither dance nor photography are in any danger of lapsing into a naive, regressive “realism”. Dance is inherently “unrealistic” to the extent that the human figure is estranged from the world of speech. [Roger Copeland, Dance, Photography, and the World’s Body, «Performing Arts Journal», Vol. 6, No. 1, 1981, pp. 94-95]